All’esito della sentenza la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione». È con questa secca affermazione che si conclude il comunicato stampa diffuso dalla Corte costituzionale nella giornata del 25 gennaio 2017, con il quale viene resa nota la decisione che travolge, con una declaratoria di incostituzionalità, una buona parte della legge n. 52 del 2015.Ad essere dichiarate incostituzionali sono, in particolare, la parte relativa al turno di ballottaggio nonché quella che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio di elezione.
Nelle primissime reazioni “a caldo” seguite alla notizia non pochi sono stati coloro che hanno visto nella affermazione sopra richiamata una sorta di “via libera” verso elezioni immediate, un segnale di sostegno politico rivolto a chi intenderebbe avviare la legislatura verso la sua fine anticipata piuttosto che una conferma di quel principio, espresso chiaramente già nella sentenza n. 1 del 2014, in virtù del quale l’annullamento della legge elettorale in tanto è ammissibile in quanto consenta la sopravvivenza di una disciplina autoapplicativa.
Certo, ad indurre verso una simile lettura del comunicato potrebbe essere la constatazione che il principio secondo cui le leggi elettorali sono costituzionalmente necessarie, in quanto indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali, è talmente radicato nell’ordinamento che, dopo il lungo e articolato richiamo contenuto nella sentenza 1/2014, sarebbe apparsa inutile ogni ulteriore precisazione. A tale argomentazione potrebbe poi aggiungersi l’ulteriore constatazione che, a differenza del comunicato emesso nel dicembre 2013, non si fa oggi alcun riferimento al potere del Parlamento di «approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche». Si potrebbe, dunque, essere portati a ritenere che il comunicato contenga davvero una impropria sollecitazione politica verso la soluzione dello scioglimento anticipato.
Credo, tuttavia, che sarebbe un grave errore desumere dai comunicati dell’organo di giustizia costituzionale elementi di interpretazione della posizione della Corte anche diversi e ulteriori rispetto a quelli desumibili dalle stesse sentenze. Ciò non tanto e non solo perché la Corte parla (e deve parlare) solo attraverso le sue decisioni, ma anche in virtù del fatto che la (criticabile) prassi dei comunicati risponde alla ragione pratica immediata di “alleggerire” la pressione sulla Corte in attesa della stesura collegiale della sentenza e sovente sfocia in un testo che, a sua volta, è frutto della pressione mediatica del momento e non sembra (e, verosimilmente, non vuole) essere espressione di una attenta riflessione in punto di coerenza con i precedenti. […]