La vittoria del Leave con la maggioranza del 51,89% al referendum sulla Brexit del 23 giugno rappresenta un evento storico di cui è difficile definire al momento attuale le conseguenze a lungo termine sia sul processo che il Regno Unito dovrà intraprendere per uscire effettivamente dall’Europa, sia in merito al nuovo rapporto che si verrà a delineare tra il Paese e l’Unione. Si conoscono, invece, gli effetti immediati del voto, ad iniziare dalle dimissioni del premier Cameron e dalla sua sostituzione alla guida del partito e del governo conservatore con Theresa May, fino a quel momento ministro degli interni. Il risultato referendario, come noto, ha avuto ripercussioni anche nel partito laburista, dove Jeremy Corbyn è stato sfiduciato dalla maggioranza dei suoi deputati e si è aperta la sfida per la leadership, il cui risultato sarà noto il 24 settembre.
I dati che emergono dall’analisi del voto di giugno mostrano un’affluenza del 72,21%, superiore rispetto alle elezioni politiche del 2015 (66,4%), e profonde divisioni nel Paese di tipo sia territoriale, sia generazionale, sia culturale. Il referendum non ha mostrato solo una frattura tra coloro che sono favorevoli o contrari all’Europa, ma anche tra ricchi e poveri, Londra e il resto dell’Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord da un canto e Inghilterra e Galles dall’altro, nonni e nipoti, élites e classi popolari. Tali divisioni, peraltro, sembrano ritrovarsi anche all’interno dei partiti politici. […]
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Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. Introduzione. – 2. Il referendum. – 3. La campagna referendaria e le polemiche sulla sua conduzione. – 4. Il processo di exit. – 5. Il coinvolgimento delle amministrazioni devolute nel processo di uscita dall’Unione Europea. – 6. Conclusioni.