L’ordinanza “Cappato” rappresenta senza dubbio una pronuncia storica che si distingue per i rilevanti elementi di innovatività sotto il profilo sostanziale e processuale. Con tale decisione la Corte costituzionale si esprime su un delicato tema bioetico come quello del “fine vita” nel quale, a causa della innegabile conflittualità che investe il dibattito politico concernente questioni eticamente sensibili, lo ius sembra sovente agire d’anticipo sulla lex. In secondo luogo, la Consulta fa ricorso a uno strumento decisorio mai adoperato, variamente definito in dottrina, con il quale sospende gli effetti del giudizio e, «facendo leva sui propri poteri di gestione del processo», rimanda di dieci mesi la trattazione della questione ai fini di concedere al Parlamento il tempo per rimediare all’incostituzionalità della norma censurata (ord. n. 207/2018). Da tale premessa introduttiva si comprende perché l’ordinanza n. 207 si presenti come un atto gravido di spunti ricostruttivi e suscettibile di un’analisi multi prospettica. L’opera curata da Marini e Cupelli si compone di una raccolta di venti contributi dalla cui lettura emerge un quadro di giudizio polifonico che testimonia la diversa sensibilità e formazione degli Autori.
Un gruppo di saggi si concentra in particolare sulla dimensione sostanziale, ricostruendo il contenuto di una decisione che si muove fra principio di dignità umana, diritto alla vita e autodeterminazione terapeutica. La questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Milano ha ad oggetto l’incriminazione dell’aiuto al suicidio (art. 580 del codice penale). La rilevanza penale di tale condotta, a prescindere dal contributo alla determinazione e al rafforzamento del proposito suicidario, costituirebbe, ad avviso del rimettente, il retaggio di una concezione anacronistica del bene vita, quella del legislatore […]