Cento anni fa, nel nuovo clima determinato dalla vittoria e dalla pace, il nostro Ateneo inaugurava l’anno accademico 1918-1919 con una prolusione di Pietro Bonfante. Buona parte di essa era dedicata alle condizioni per la costruzione di uno Stato libero al di sopra della nazione e Bonfante, nonostante esplicitamente menzionasse gli Stati Uniti d’Europa di cui si era preso a parlare, riteneva tale costruzione possibile in contesti “più primitivi” di quello europeo, come il Canada ad esempio. Perché? Perché la nazione –scriveva- agli europei appare come una meta, una meta assoluta. E le nuove idee, il nuovo ordine che molti invocano in nome in primo luogo della pace, faranno molta fatica ad affermarsi. Non aveva torto Bonfante. L’idea di Europa era cresciuta nel corso dei secoli, dal Medio Evo sino al primo Novecento ma a nutrirla non era stata la politica, erano stati i tanti fili della cultura europea; da quelli inizialmente stesi dai monaci e dai professori che, di convento in convento, da università a università, avevano diffuso valori etico-religiosi e principi giuridici comuni; dagli architetti e dagli stessi artigiani, che lo stesso avevano fatto con le tecniche e con gli stili costruttivi. Ne era uscito –per usare le parole di Federico Chabod – “un certo abito civile, un certo modo di pensare e di sentire, proprio dell’europeo e diverso, ben diverso, da tradizioni, memorie e speranze di Indiani, Cinesi, Giapponesi, Etiopi ecc.”. Ed è ancora Chabod a citare Burke, che vedeva una “somiglianza di consuetudini sociali e di forme di vita”, per cui “nessun europeo potrebbe essere completamente esule in alcuna parte d’Europa”.
Già, ma bastava tutto questo a generare anche l’unità organizzativa e politica degli europei? Per porre fine alla guerra una tale unità era stata propugnata sin dalla fine del ‘700. Lo aveva fatto Kant, che aveva affidato la pace perpetua all’allineamento dei popoli, in primis europei, in un’unica federazione. Lo aveva fatto Victor Hugo, preconizzando la fusione delle “gloriose individualità” europee in una comune fratellanza, sino a che “si mostrerà un cannone in un museo come si mostra oggi uno strumento di tortura, meravigliandosi che ci sia potuto essere”. […]