Parlare della “elasticità delle costituzioni rigide” significa cimentarsi con quello che all’apparenza è un ossimoro. Eppure, è proprio su di esso che si misurano i temi prioritari di questo stesso incontro di studio, dalla messa a fuoco dei principi supremi al rapporto sempre rinnovantesi fra legislatori ed organi di giurisdizione costituzionale nell’interpretazione della Costituzione.
Di elasticità – e con significati in parte diversi da quello su cui porrò io l’accento in questa sede- si parlava ovviamente di più a proposito dello Statuto albertino. È celebre lo scritto di Luigi Rossi sulla elasticità delle norme statutarie. Ma quando Augusto Barbera nel suo ultimo lavoro per l’Enciclopedia del Diritto sulla Costituzione italiana parla di un testo con “virtualità multiple”, e quando un altro “giovane” costituzionalista come Cesare Pinelli parla di Diritto costituzionale come “diritto per principi”, in realtà aprono esattamente al mio tema.
Un tema che ― considerato “in campo lungo” ― porta a constatare che una medesima costituzione è interpretata oggi in modo da far risultare “legittimo” ciò che in precedenza era stato ritenuto “illegittimo”, ovvero, all’opposto, in modo da far risultare “illegittimo” oggi ciò che era stato ritenuto “legittimo” prima.
Come è possibile che questo accada in assenza di revisione? Gli esempi, per quanto riguarda la nostra Costituzione, li troviamo sia sul fronte delle libertà e dei diritti e doveri dei cittadini, sia su quello dell’organizzazione costituzionale.
L’esempio più noto di legittimo che diventa illegittimo nella nostra storia costituzionale è quello del reato di adulterio (soltanto) femminile. Quando se ne era occupata nel 1961, la Corte Costituzionale aveva ritenuto legittima la disparità di trattamento fra i coniugi (il marito era punito solo per concubinato con pubblico scandalo), in quanto l’adulterio pur occasionale della moglie feriva l’unità familiare e la stessa famiglia più di quanto non facesse quello del marito (Sent. n. 64 del 23-28 novembre 1961). Sette anni dopo, preso anche atto – così essa scrisse ― dei mutamenti intervenuti nel contesto storico-sociale italiano, la Corte ritenne che era proprio la discriminazione a ferire l’unità familiare e dichiarò illegittima la punizione dell’adulterio femminile, di cui ai commi primo e secondo dell’art. 559 del codice penale (Sent. n. 126 del 16-19 dicembre 1968). […]
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