La presente recensione prende in esame la riflessione proposta da David B. Kopel, Adjunct Professor of Advanced Constitutional Law presso la Denver University, Sturm College of Law, e da Trevor Burrus, Research Fellow presso il Cato Institute, Center for Constitutional Studies (Washington D.C.), nel loro recentissimo saggio dal titolo Sex, Drugs, Alcohol, Gambling and Guns: the synergistic constitutional effects, in corso di pubblicazione sulla Albany Government Law Review, periodico edito dall’omonima law school newyorkese. L’articolo riprende gli interventi svolti dagli Autori in occasione del convegno dal titolo “Overdose: the Failure of the U.S. Drug War and Attempts at Legalization”, organizzato proprio dalla Albany Government Law Review, ed analizza gli effetti sul piano costituzionalistico della corposa normativa volta a contrastare fenomeni ritenuti moralmente riprovevoli.
La trattazione muove dalle affermazioni di Thomas Jefferson e di George Sutherland, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, i quali rilevano come anche una singola eccezione che alteri gli equilibri costituzionali possa poi rivelarsi un pericoloso precedente nell’ottica di una tendenza generale connotata dalla costante espansione dei pubblici poteri e, segnatamente, del potere federale. In questo senso l’occasione è stata offerta dalle “crociate legislative” contro il traffico e l’uso di armi, droga, alcool, contro il gioco d’azzardo e la prostituzione, fenomeni che hanno formato oggetto della produzione normativa del secolo scorso, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, e che ancora in questi primi anni Duemila sono al centro di vasti interventi legislativi, arricchendosi di oggetti sempre nuovi a seconda del mutare della sensibilità sociale su certi temi. Ieri era il traffico di armi, oggi può essere il fumo o l’esigenza di garantire la sicurezza pubblica contro il rischio di attentati terroristici; ciò che è indubbio è che il raggio di azione dei pubblici poteri su questi fenomeni è in continua espansione. Tuttavia, il fatto di colpire condotte ritenute moralmente riprovevoli non deve e non può, nell’ottica degli Autori, distogliere l’occhio del costituzionalista dal rilevare l’illegittimità di alcuni di detti interventi.
Il lavoro in commento si muove proprio in questa direzione, ponendo sotto la lente d’ingrandimento la legislazione statunitense del secolo scorso in cinque materie (droga, alcool, sesso, gioco d’azzardo e armi) in cui più marcatamente si è estrinsecato l’approccio proibizionista, cercando di verificare di volta in volta il presupposto giuridico dell’intervento del Congresso e mettendone così in luce gli eventuali profili d’incostituzionalità. Due sono in particolare le tipologie di censure che si possono riscontrare: la lesione delle competenze che la Costituzione attribuisce agli stati e la violazione dei diritti individuali costituzionalmente sanciti. Gli Autori, tuttavia, optano per un approccio meno dogmatico, mostrandosi interessati più a identificare gli strumenti di cui il potere federale si è concretamente servito per espandere le proprie competenze che ad incasellare la legislazione a seconda del diverso profilo di illegittimità riscontrabile.
Quest’impostazione più attenta al diritto vivente che alla problematica teorica si riflette in un testo che ha come filo conduttore l’analisi critica dei casi emersi dalla giurisprudenza della Corte Suprema, che risulta così la vera protagonista dell’articolo. L’idea complessiva che può trarsene è che, a fronte di un atteggiamento del Congresso che sulle materie oggetto dello studio si è mantenuto sempre coerente, indipendentemente dal colore delle diverse maggioranze che si sono succedute negli anni, la Corte non sia riuscita ad elaborare criteri saldi su cui fondare una giurisprudenza coerente, tale da rappresentare un baluardo sicuro a protezione degli assetti e dei diritti sanciti dalla Costituzione. In un certo senso la Corte si è trovata impreparata dinanzi alla spinta “regolatrice” del Congresso e ciò ha prodotto reazioni tardive e orientamenti mutevoli, che hanno di fatto avallato le politiche adottate dal potere federale anche quando queste si sono concretizzate in lesioni della legalità costituzionale. In tal modo la Costituzione, pur rimanendo formalmente invariata, si è conformata alla nuova volontà del Congresso, aprendo, nella prima metà del secolo scorso, una nuova stagione del costituzionalismo americano, caratterizzata dall’allontanamento dall’individualismo liberale, da un crescente intervento pubblico in ambito sociale ed economico e dal rafforzamento dei poteri federali.
Nel ripercorrere la strada che ha portato al mutamento poc’anzi descritto, gli Autori prendono le mosse dall’uso che è stato fatto della taxing clause già nei primi anni del Novecento. L’utilizzo della leva fiscale per disincentivare determinati comportamenti più che per realizzare obiettivi di politica economica ha iniziato a diffondersi proprio in quel periodo e in molti Paesi, tra cui l’Italia, resiste a tutt’oggi, almeno a giudicare dalla forte tassazione su prodotti da fumo e lotterie che si può riscontrare. […]