Nel marzo 2018 si è celebrato il ventesimo anniversario della ratifica della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo (CEDU) da parte della Russia. Questa data invita a riflettere attentamente sulla portata e gli effetti di tale strumento per il Paese. Alcuni esperti ritengono che i due decenni sotto la giurisdizione della Corte di Strasburgo siano sufficienti per produrre cambiamenti profondi, mentre altri li considerano insufficienti. Tuttavia entrambi concordano con l’opinione che il bilancio della Russia in materia di diritti umani rimanga tutt’ora negativo. Sarebbe sbagliato negare i miglioramenti raggiunti dalle autorità russe negli ultimi decenni, malgrado i rapporti tra Russia e Corte di Strasburgo non siano stati sempre stabili e privi di confronto. Fin dall’inizio della sua esperienza “europea” – la Russia divenne membro del Consiglio d’Europa nel 1996– il sistema giudiziario, il livello della protezione dei diritti dei cittadini russi e, in generale, la situazione con il rule of law, non soddisfacevano i parametri necessari per aderire all’organizzazione. Si pensi ad esempio, alle tante violazioni nelle zone di conflittonel Caucaso del Nord, oppure alla eliminazione della pena di morte prevista dal Protocollo n. 6 alla CEDU – protocollo che, tra l’altro, non fu mai ratificato dalla Federazione Russa. La sua adesione al “club” dei Paesi europei di democrazia pluralista fu ai tempi una soluzione compromissoria, basata sulla necessità di uno Stato giovane di ottenere la legittimazione a livello internazionale ma anche sulla strategia di inclusione che gli Stati occidentali hanno adottato nei confronti dei Paesi del ex-blocco comunista in seguito al crollo del muro di Berlino.
L’entrata a far parte dell’istituzione internazionale, fondata a metà del secolo scorso da una dozzina di Stati di democrazia pluralista del blocco Occidentale che rappresentavano un modello concorrente a quello sovietico, ha segnato un evento storico di grande rilevanza. Inoltre, sembra paradossale il fatto che quasi tutti i Paesi del blocco comunista che si trovano completamente o parzialmente nel continente europeo (ad esclusione della Bielorussia di Lukashenko) abbiano aderito al Consiglio d’Europa e si siano sottoposti alla giurisdizione della Corte EDU. Al seguito di questo promettente inizio, tuttavia, quasi subito si sono notate alcune tendenze preoccupanti. La crescita esponenziale del numero dei ricorsi presentati ogni anno dai cittadini russi e la stragrande percentuale dei casi in cui la Corte europea ha trovato almeno una violazione dei diritti umani […]