Come già ampiamente preannunciato, il periodo in analisi, da gennaio ad aprile 2020, segna un punto fondamentale della storia politico-istituzionale contemporanea dell’ordinamento israeliano. Proprio a fronte di tale specificità, nelle pagine che seguiranno verrà fornita una analisi anche di fatti verificatisi a maggio 2020, che verranno tuttavia ripresi e approfonditi nelle prossime cronache, relative al periodo di maggio-agosto 2020. A seguito di ben due tornate elettorale senza successo, le elezioni politiche del 2 marzo hanno delineato uno scenario simile ai precedenti, caratterizzato dall’impossibilità per entrambe le formazioni maggioritarie, il Likud di Netanyahu e Kahol Lavan di Gantz, di formare un Governo stabile e capace di affrontare le sfide costituzionali israeliane, più che mai urgenti, legate al tema della stabilità e al raggiungimento di un rapporto organico e funzionale rapporto tra Esecutivo e Giudiziario.
La fase post-elettorale è stata caratterizzata da un livello mai raggiunto prima di scontro politico, con lo speaker della Knesset Edelstein che ha congelato i lavori parlamentari per la prima volta in Israele il 18 marzo. La decisione, criticata persino dal Presidente Rivlin, è stata oggetto dell’intervento della Corte Suprema, che solo in pochissime circostanze prima aveva ritenuto necessario intervenire nelle dinamiche parlamentari. Il blocco parlamentare, che nelle sentenze della Corte viene pesantemente definito come un gravissimo corto circuito democratico, insieme alle inedite misure di tracciamento della popolazione civile positiva al Covid-19 (si veda l’Emergency Regulations (Authorization of the General Security Service to Assist the National Effort to Reduce the Spread of the Novel Coronavirus), hanno causato moltissime proteste nel paese, con migliaia di persone che si sono ritrovate davanti al Parlamento sventolando le bandiere nere, simbolo della “morte della democrazia” dello Stato di Israele. […]