Come già ampiamente anticipato in diversi “episodi” di questa rubrica, l’ordinamento israeliano si trova ormai, non più celatamente, in una viva fase di ridefinizione dei propri valori fondanti e dei propri “confini”. Il quadrimestre preso in considerazione, maggio – agosto 2018, vede attuarsi questo processo in modo sempre meno sotterraneo e silenzioso, divenendo ormai decisamente pubblico ed esplosivo. Qualunque sia l’opinione di chi legge, non si può non dare ragione al Primo Ministro Netanyahu quando afferma che la Basic Law: The Jewish Nation- State, approvata in via definitiva il 19 luglio, rappresenti un momento fondamentale per l’ordinamento israeliano e per la ridefinizione dei suoi equilibri. Se infatti tale Basic Law, forse, non cambia più di tanto la realtà sostanziale dello Stato e del suo ordinamento, è però, negli occhi di chi scrive, altamente rappresentativa degli equilibri di forza attualmente in atto e del rischio, reale, di rottura della fragile stabilità costituzionale israeliana. La nuova legge, estremamente dibattuta e discussa dentro e fuori gli sfumati confini israeliani, è al centro di una polemica feroce che la vede, negli occhi di chi la supporta, logica conseguenza giuridica del sogno sionista e ovvio provvedimento per attestare la realtà israeliana coronando le politiche di centro-destra degli ultimi anni.
Di contro, a detta degli oppositori, la legge è un testo che formalizza, su un livello quasicostituzionale, la nascita di una etnocrazia, dove non è prevista uguaglianza tra i suoi cittadini e che categorizza tutti i gruppi che non appartengono alla maggioranza ebraica come cittadini ufficialmente “esterni” all’ordinamento. Le obiezioni al testo, su cui l’esecutivo Netanyahu sembra aver puntato molto anche in ottica di una possibile tornata elettorale, pur essendo rivolte al testo nel suo complesso, possono tuttavia essere schematizzate attorno a tre nodi centrali. L’art. 1, sez. C, stabilisce che “The exercise of the right to national self-determination in the State of Israel is unique to the Jewish People”, violando, secondo alcuni, il principio di uguaglianza formale e la cornice democratica sanciti dalla Basic Law: human dignity and Liberty del 1992 (che formalizza la tanto discussa definizione di Israele come stato ebraico e democratico). L’art. 4, sez. A, stabilisce, invece, per la prima volta che solo l’ebraico sia lingua ufficiale dello Stato, relegando l’arabo ad un status speciale (sez. B) ed innescando, insieme alle norme che regolamentano i diversi simboli del Paese (art. 2), dure reazioni dentro e fuori la Knesset, altamente prevedibili in un ordinamento diviso e polarizzato come quello israeliano. Infine, la formulazione dell’art. 7, stabilisce che “The State views the development of Jewish settlement as a national value, and shall act to encourage and promote its establishment and strengthening”. […]