Il quadrimestre analizzato, da maggio ad agosto 2020, attesta, come largamente previsto ed anticipato, la fase di profondo stallo e crisi politica israeliana a cui solo apparentemente il Governo di unità nazionale aveva messo fine. L’insolito accordo tra il Likud di Netanyahu e Kahol Lavan di Gantz ha mostrato infatti già dai primissimi giorni delle crepe che con il passare dei giorni si sono fatte più profonde, spingendo buona parte degli analisti a parlare di un esperimento già fallito e a pronosticare un ritorno alle urne per il 2021.
Nei pochi mesi trascorsi dalla formazione del Governo del 17 maggio, le due principali formazioni contraenti dell’accordo si sono infatti ripetutamente lanciate accuse velenose e si sono violentemente scontrate, spesso arroccandosi nelle proprie posizioni e mostrando tutti i forti limiti del rotation agreement che vedrà Gantz subentrare a Netanyahu come Primo Ministro nell’ottobre del 2021. È dunque in questa ottica che va inquadrata la crisi, evitata in extremis, sull’approvazione del bilancio statale: non dunque un disaccordo solamente sul merito della questione relativa al budget, ma, a ben vedere, una resa dei conti, rimandata, sull’equilibrio di potere all’interno del Governo e della maggioranza. Questa chiave di interpretazione è avvalorata ulteriormente dal merito dello scontro tra le due parti in relazione al tema del bilancio: da una parte la richiesta di Gantz di approvare un budget biennale, come stipulato nell’accordo di coalizione, e dall’altra parte Netanyahu, determinato ad approvare un budget di durata annuale, una opzione che, secondo gli accordi stipulati, lascerebbe al Premier in carica la possibilità di portare il paese alle urne il prossimo giugno se il bilancio per il 2021 non fosse approvato in primavera, prima che Gantz subentri come Primo Ministro. In una situazione del genere, secondo l’intesa tra i due partiti, Netanyahu rimarrebbe infatti Primo Ministro in un Governo provvisorio. […]