Il quadrimestre analizzato, compreso tra gennaio e aprile 2018, segna una fase di enorme conflittualità per la società e la vita parlamentare israeliana. In un Paese che dal giorno della sua fondazione vive in stato di emergenza, i mesi analizzati vedono un graduale, ma chiarissimo acuirsi dello scontro parlamentare e sociale con segnali che spingono il dibattito nazionale a parlare di “graduale erosione della democrazia nazionale”. È in questo quadro che vanno in effetti analizzati i recenti episodi, se di episodi si può parlare, di sempre maggiore violenza a Gaza e in West Bank a seguito della decisione del Presidente Trump di spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. Con l’aumentare della tensione, il dibattito parlamentare israeliano sulla gestione della sicurezza nazionale è diventato in questi mesi progressivamente più teso e caotico, con la coalizione di maggioranza vittima delle sue stesse divisioni interne, ma comunque dominante e un fronte, quello dell’opposizione, senza una reale forza propulsiva e, anzi, incapace di rappresentare una alternativa concreta al blocco di centro-destra. (Tale elemento, sebbene con le difficoltà del caso, sembra identificare l’ordinamento israeliano come un regime progressivamente sempre più monopolare).
Analoghi strumenti interpretativi vanno adottati per meglio comprendere la crescente tensione internazionale tra Israele ed Iran, vere potenze regionali, i cui interessi sempre più spesso confliggono relativamente alla crisi siriana, spingendo gli analisti internazionali a temere la nascita di un nuovo conflitto mediorientale, per ora solo dormiente, che potrebbe rivoluzionare completamente l’assetto geopolitico mondiale. Oltre alle crisi internazionali, l’ordinamento israeliano affronta, nel periodo analizzato, l’ennesimo “terremoto” sociale con il piano governativo, […]