Da più di una parte si sono fatti paragoni con la celeberrima Marbury v. Madison, 5 U.S. 137 (1803). Non giustifica certamente un tale accostamento la mera constatazione che si tratti di decisioni di svolta per la giustizia costituzionale. Ma anche a volerle accomunare per alcune similarità nei fatti oggetto delle decisioni – la nomina di giudici, (mancate) notifiche o (mancati) giuramenti come presupposto per l’assunzione dell’incarico –, molto diverse, insieme all’epoca storica, sono le conseguenze delle due pronunce giurisdizionali. Nel caso della sentenza americana, celebrata in tutti i manuali mondiali di diritto pubblico comparato o anche interno, la Corte suprema, mentre rinunciava, in quanto non previsto dalla Costituzione, a un potere tutto sommato marginale assegnatole dalla legge federale, in via giurisprudenziale se ne autoattribuiva (o riconosceva) uno di tali dimensioni e conseguenze da espanderne il ruolo a dismisura, pur se in modo non immediato e non scontato. La sentenza del Tribunale costituzionale polacco, in causa K 47/15, del 9 marzo 2016, nel migliore dei casi – e non è affatto detto che ciò accada – riuscirà a proteggere quest’organo e fargli preservare almeno in parte la posizione che le era stata attribuita per volontà espressa e chiara del potere costituente, e che una maggioranza politica del momento ha tentato, con seri rischi di successo, di menomare in frode palese alla Costituzione.
Prima di analizzare alcuni passaggi della sentenza K 47/15, e dell’immediatamente successivo e strettamente correlato parere, n. 833/2015, emesso dalla Commissione di Venezia, si vuole fare un passo indietro nel tempo per trarre due semplici conclusioni con pretesa di essere teoriche a partire da altrettante osservazioni empiriche. La prima conclusione è che, se i giudici di una Corte costituzionale devono essere in tutto o in parte di scelta parlamentare, è bene che questa scelta, al di là degli elevati requisiti di competenza richiesti e delle restanti garanzie approntate, sia rimessa a maggioranze qualificate, superiori a quella politica in grado di reggere un Governo. Se l’affermazione può apparire oggi di una banalità sconcertante, uno sguardo un po’ più attento su ciò che è accaduto in Polonia negli ultimi mesi aiuterà a considerare sotto più aspetti concreti fino a che punto una tale apparente ovvietà meriti di essere ancora apprezzata per comparazione con le derive più oscure e remote in cui può essere trascinato un ordinamento che abbia compiuto una scelta di segno contrario, o che per inerzia intellettuale abbia omesso di compiere la diversa scelta qui positivamente apprezzata. […]
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