Più di mezzo secolo è abbondantemente trascorso da quando l’idea di dar luogo a una cooperazione unitaria in Europa assumeva connotati concreti – nella forma del Trattato Ceca del 1951 e dei Trattati di Roma firmati nel 1957 – per procedere poi, a fasi alterne tra difficoltà e blocchi e inaspettate riprese, nella direzione di una sempre maggiore istituzionalizzazione, tale da renderla, oggi, una realtà con una capacità di condizionamento effettiva nei confronti degli Stati che la compongono e un interlocutore stabile del consesso internazionale. La definizione dell’attuale carattere dell’integrazione europea, seppur ancora in via transitoria, potrebbe dirsi orientata alla sua assimilazione alla categoria del federalismo, purché quest’ultimo inteso con un’accezione assai ampia: rimane infatti tuttora non pacificamente risolta la questione della natura dell’Unione europea, nel rapporto fra Stati membri e sovranità dell’Unione. Sia concesso ricordare brevemente come nei dibattiti riferiti al processo europeo si siano contrapposti, sin dalle origini, termini quali federalismo, funzionalismo, neofunzionalismo (tutti in qualche modo inquadranti un’organizzazione inter-governativa, ricompresa tra le organizzazioni internazionali, come la confederazione) e realismo (riferito a un’organizzazione egemonizzata dalla prevalenza del ruolo degli Stati nazionali)1 e come si sia giunti progressivamente a ricercare ulteriori definizioni per la natura dell’integrazione perseguita, considerata intermedia e composita tra caratteri statuali, caratteri internazionali o sovranazionali.
L. Durst, La teoria della Federazione di Olivier Beaud e la sua applicazione al processo di integrazione europea
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