Dopo essere stato pubblicato in edizioni che ne modificarono in parte l’impostazione ed i contenuti, viene qui proposto il testo originale della prolusione tenuta il 4 dicembre del 1948 da V. E. Orlando per l’inaugurazione all’a.a. 1947-1948 dell’Ateneo romano. Vero ponte tra due epoche questo lungo intervento è rappresentativo della ricollocazione concettuale dell’autore all’indomani del secondo conflitto mondiale, operata al fine di pervenire a nuove ed avanzate posizioni dottrinali inspirate alla creazione di un ordinamento internazionale basato sul recupero della sovranità all’interno di istituzioni sovranazionali, foriero della preparazione di un nuovo tipo di Stato, capace di superare i paradigmi di quello ottocentesco.
Analisi attenta ad “non scambiare temi politici con tesi giuridiche”, essa giunge oggi a noi con immutato valore scientifico, illuminante testimonianza delle riconsiderazioni del Maestro palermitano sulla storicità del metodo giuridico.
Esposizione sistematica del programma didattico con cui, riammesso al suo magistero nell’a.a. 1944-1945, dopo il forzato allontanamento dovuto al rifiuto, nel 1931, di sottostare al giuramento imposto dal regime, a sessantadue anni dalla Sua prolusione modenese del novembre 1885, Egli volle riprendere le sue lezioni di Diritto Costituzionale, questo manifesto intellettuale è animato dalla volontà di ricercare leggi di tendenza attraverso cui poter descrivere quel complesso fenomeno denominato come “Crisi del diritto internazionale”. Lo spaventoso trentennio appena vissuto portò l’esimio giurista a riconoscere come fosse in atto una opposizione tra due forze: da un lato quella espressa da un nuovo tipo di Stato, costituzionale, nazionale e rappresentativo; dall’altra quella di una “Comunità internazionale”, non ancora “ordinamento giuridico”, ma che vedeva la solidale ascesa, verso le mete che il tempo, cinto di mistero, riserva alla titanica fatica dell’umana famiglia, date le irresistibili spinte operate da “vie di forza o di consenso, imperiali o federative”, sempre più volta al successo.
In questa pubblica elaborazione del lutto per un mondo in cui Egli aveva vissuto ed operato in maniera tanto attiva, sia in qualità di giurista che di legislatore, ma oramai ridotto a sole macerie, nonostante la ferrea linearità della loro logica, le riflessioni operate nascono da paradossali quesiti: come affrontare lo studio del diritto pubblico, se proprio in questo campo la distruzione spirituale operata dalla guerra sembrava aver ormai lasciato solo un desolante deserto valoriale? Quale aspetto positivo dare all’analisi vista la scomparsa dell’antica Costituzione? Quale funzione assegnare allo studio del diritto costituzionale in una società in cui non venivano assicurate né la garanzia dei diritti né la stabilità nella separazione dei poteri?
Stravolto ormai il contesto in cui Egli potè operare quella mirabile costruzione sistematica, nata con la fondazione della Scuola giuridica nazionale, e, sviluppata sui binari dell’innovazione metodologica e della personalità giuridica dello Stato, le conclusioni a cui sembrerebbe qui giungere sono di una sconsolata accettazione di come gli strumenti elaborati nel passato non fossero ormai ne efficaci, ne proponibili, dato il risultato del Referendum del 2 giugno 1946, per poter permettere alle istituzioni un isolamento dalle temperie della politica.
Offrendo una testimonianza di come peculiari ed importanti siano, nei periodi di transizione, il ruolo e la funzione a cui giuspubblicisti dovrebbero essere chiamati, in quest’opera della maturità l’autore torna, in un processo simile al movimento di un pendolo, ai medesimi temi affrontati nei suoi primi scritti, ovvero, quelli relativi ai problemi posti dalla trasformazione dello Stato moderno.
Ma se nel 1881, giovanissimo studioso, fu alla valutazione giuridica delle forme e delle forze sociali ed ai processi tramite i quali queste si fanno istituzioni politiche che Egli si dedicò, nel 1948 sono altri gli argomenti affrontati: l’interesse per la storia e l’elaborazione di un Suo storicismo giuridico. Da ciò derivò l’introduzione di una idea limite all’interno dell’agnosticismo dell’autore riguardo il fenomeno politico: essendo il rifiuto della politica esso stesso una scelta politica, non è possibile escludere come questa epurazione risulti impossibile laddove sia la realtà politica ad essere in movimento o stia minacciando lo Stato che attraverso l’attenzione ai soli principi giuridici della costruzione politica si volesse rafforzare.
Sebbene questo non portò mai a manifeste aperture nei confronti della storia, innegabile appare dunque lo storicismo di questa impostazione nata dalla considerazione della esperienza giuridica come realtà giuridica, della storicità dei processi di formazione degli istituti e delle loro relazioni con l’intero ordinamento.