Lo scoppio della crisi del debito in Europa ha messo in luce la necessità di dare vita ad una modifica della costruzione originaria del progetto europeo da cui ha fatto seguito un procedimento di riforma che ha rivelato caratteristiche del tutto anomale rispetto al metodo ordinario, quello “comunitario”, su cui si è mosso tradizionalmente il processo di integrazione europea. Da ciò è scaturito un vivace dibattito riguardante il metodo di assunzione delle decisioni, che avrebbe potuto e dovuto favorire quelle istituzioni, come la Commissione e il Parlamento europeo, a chiara vocazione sovranazionale anziché quelle di stampo intergovernativo, come il Consiglio ed il Consiglio europeo, che hanno invece prevalso.
La marginalizzazione del potere decisionale delle prime, a vantaggio delle seconde, ha prodotto una diffusa insofferenza per l’evidente noncuranza verso forme di legittimazione democratica delle scelte assunte a livello collegiale europeo, lasciando il potere decisionale esclusivamente nelle mani degli esecutivi, ed in particolare di quelli, come il governo tedesco, che hanno dimostrato maggiore attivismo nel corso della crisi. Eppure, la mancanza di un controllo sulle scelte compiute attraverso i negoziati intergovernativi è stata al centro di forti preoccupazioni nella stessa Repubblica Federale Tedesca, come dimostrano i ricorsi presentati davanti al Bundesverfassungsgericht in attinenza ai vari risultati negoziali raggiunti. Anche lì si è avvertito come la “verticalizzazione delle decisioni” che ha caratterizzato l’Unione, a seguito dello scoppio della crisi, ha condotto a scelte – da quelle sui pacchetti di salvataggio a quelle sull’armonizzazione delle politiche fiscali, previdenziali, del mercato del lavoro – che pesano sui bilanci nazionali a fronte di una sostanziale incapacità dei cittadini di poter influire su politiche che pure li riguardano direttamente e di cui avvertono chiaramente il peso.
Così, l’intera opinione pubblica europea è stata tenuta con il fiato sospeso, più di una volta, rispetto agli esiti di ricorsi promossi davanti al giudice costituzionale tedesco e relativi ai meccanismi di stabilizzazione finanziaria neo-istituiti e ai nuovi trattati negoziati fuori dalla cornice europea. La posizione del Bundesverfassungsgericht, quale attore istituzionale capace di mettere a rischio – con un’unica sua pronuncia – l’intero quadro delle misure anti-crisi, ha rafforzato la sensazione di uno squilibrio di posizioni fra i vari paesi dell’Eurozona. I giudici di Karlsruhe però, non hanno posto in discussione la legittimazione giuridica delle riforme al progetto europeo e non si sono opposti né all’introduzione di nuovi istituti che derogano al quadro originario dell’unione economica e monetaria, né ad una maggiore condivisione di responsabilità. […]
Scarica il testo completo in formato PDF
Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. Introduzione 2. Le Sentenze Maastricht e Lisbona 3. La conferma delle prerogative del Bundestag sulle politiche di bilancio: la necessità di approvazione delle misure di assistenza del primo scudo di salvataggio, lo European Financial Stability Facility (Efsf) 4. I limiti allo snellimento delle procedure autorizzative ed il ruolo della Commissione parlamentare ristretta (Sondergremium) 5. Il pragmatico riconoscimento di un avanzamento nell’integrazione: i nuovi trattati internazionali quali sostitutivi del diritto europeo 6. La riorganizzazione dell’Unione Economico Monetaria e l’introduzione dei presupposti per la cancellazione del principio dell’indipendenza dei bilanci nazionali: un vulnus alla Stabilitätsgemeinschaft? 7. Conclusioni