Lo scarsissimo tempo impone una drastica selezione degli argomenti. Avremo modo di parlare di questa decisione della Corte per valutare i profili di ammissibilità, le ragioni che hanno portato alla dichiarazione d’incostituzionalità del premio, i delicati e controversi passaggi della sentenza che ha indotto a formulare un’additiva sulle preferenze. Dovremo anche riflettere sugli effetti diretti prodotti dalla dichiarazione d’incostituzionalità della legge elettorale sull’attuale parlamento e la sua legittimazione. Tutti questi sono argomenti rilevantissimi che meritano approfondimenti specifici. Il poco tempo m’impone, però, di soffermarmi solo su un punto, quello degli effetti indiretti sulla legislazione futura. Un profilo che può essere utile anche per cercare di capire il senso costituzionale profondo di questa sentenza, che non mi sembra venga colto nel dibattito pubblico, registrandosi, invece, la tendenza a ridurre la portata della decisione della Consulta.
Un’interpretazione riduttiva che non credo possa essere condivisa nell’ambito di un dibattito scientifico. Infatti, anche qualora non dovessimo condividere questa sentenza, né in punto di ammissibilità, né in punto di merito (personalmente ho espresso la mia opinione al seminario che ha preceduto la decisione della Corte: favorevole sia all’ammissibilità, sia all’incostituzionalità tanto dei premi di maggioranza quanto delle liste bloccate, in base ad argomentazioni “concorrenti” rispetto a quelle in seguito adottate dalla Corte, alle quali non posso far altro che rinviare), in ogni caso non credo si possa negare che sia questa una sentenza – sì, per una volta possiamo usarla questa qualificazione – storica. Una sentenza assolutamente innovativa, dalla quale sarà difficile “liberarsi”.
Molti commentatori – nel tentativo di limitare la portata della decisione – si sono soffermati sul passaggio meno impegnativo dell’intera argomentazione della Corte. Il rilievo secondo il quale “non c’è … un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale” non dice nulla più di quel che da sempre è noto e che la Corte ha reiteratamente affermato.
Certamente falsa è poi la deduzione “politica” che alcuni hanno voluto trarre da questa considerazione. Non può, infatti, ritenersi che con ciò la Corte avrebbe legittimato ogni possibile futuro modello di legge elettorale, né può dirsi che qualsiasi premio purché provvisto di una qualunque soglia – anche minimale – sia costituzionalmente accettabile.
Una simile conclusione – a tacer d’altro – omette infatti di valutare quel che è la parte più significativa della sentenza, la quale, immediatamente dopo aver richiamato quel che è notorio (l’inesistenza di un modello elettorale in costituzione), aggiunge: “il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità, quando risulti manifestamente irragionevole” (e – aggiungerà in seguito – qualora non superi “lo scrutinio di proporzionalità”) .
La Corte ha pertanto posto un vincolo di ragionevolezza e di proporzionalità: è questo il vero problema (politico, ma soprattutto d’ordine costituzionale) per il legislatore futuro.
Prima di verificare in concreto cosa possa comportare questo vincolo di ragionevolezza e proporzionalità con riferimento alla prossima legge elettorale, lasciatemi aggiungere quel che a me sembra l’aspetto culturalmente più rilevante della sentenza: la riscoperta del valore costituzionale della rappresentanza politica. Dopo tanto tempo di disattenzione questa sentenza finalmente richiama il legislatore alle ragioni della rappresentanza, le quali non possono essere ritenute recessive rispetto a quelle della stabilità dei governi. […]