Il Volume di Andrea Guazzarotti, “Crisi dell’euro e conflitto sociale. L’illusione della giustizia attraverso il mercato”, è agile e allo stesso tempo estremamente denso. Proprio per la complessità del Volume, nella presente recensione si tenterà di tracciare un filo rosso collegando il ragionamento dell’A., senza con questo avere la pretesa di riassumerne compiutamente gli argomenti. Non solo la densità, tuttavia, caratterizza il libro di Guazzarotti, ma anche l’evidente sforzo – riuscito, a parere di chi scrive – di arrivare al cuore dei problemi più ‘urgenti’ della modernità europea, tra le evoluzioni economico-finanzarie e le loro conseguenze a livello sociale. Il titolo, d’altronde, ben rispecchia il tentativo: crisi dell’euro e conflitto sociale sono legati da un rapporto di causa-effetto e allo stesso tempo derivano entrambi dalla complicata situazione di ‘incompiutezza’ dell’architettura istituzionale europea. Il Volume indaga e analizza le cause degli squilibri che si sono creati in Europa dal trattato di Maastricht in poi, passando per la creazione dell’euro fino alla riforma della governance economica durante la crisi. Due le parti in cui si divide il libro, corrispondenti alle due logiche attraverso le quali si è cercata l’integrazione europea: attraverso l’euro e attraverso i diritti. Tentativi sostanzialmente falliti, a causa della mancanza di solidarietà che ha creato conflitto sociale: in particolare, tra Stati debitori
e creditori.
Ma andiamo con ordine.
Questa la premessa del Volume. L’euro è stato proposto come ‘dispositivo inducente’ nella speranza che si realizzasse il brocardo “dove c’è Stato c’è moneta e dove c’è moneta c’è Stato”. Si voleva, cioè, stimolare l’integrazione “mettendo il carro davanti ai buoi”. Per far questo, a livello teorico, gli economisti dovettero invertire la dottrina della Aree Monetarie Ottimali (R. Mundell, Capital mobility and stabilization policy under fixed and flexible exchange rates, in Canadian journal of economics and political science, 1963) per mostrare che l’introduzione di cambi fissi tra le monete di alcuni stati si sarebbe potuta realizzare anche prima della convergenza macroeconomica delle economie di quegli stati. Simile operazione si prospettava ai costituzionalisti: partire dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 per indurre il processo di ‘costituzionalizzazione’ dell’Unione.
Tra la ‘speranza inducente’ e l’effettivo traguardo, tuttavia, si mise di mezzo la crisi del 2008 e le riforme che ad essa seguirono. Questo ha portato al declino della logica inducente: difficilmente qualcuno ancora può credere, infatti, che attraverso i meccanismi odierni possa prodursi una sfera pubblica europea e condivisa. Lo stesso modo di operare delle istituzioni nazionali ed europee nelle risposte alla crisi sembra confermare tale teoria: le riforme adottate dopo la crisi partono dalla logica intergovernativa. Per di più, si sono divisi gli Stati in creditori-virtuosi e debitori-inaffidabili e questo va nella direzione opposta rispetto a quello che era l’obiettivo dei trattati istitutivi: “creare un’Unione sempre più stretta tra i popoli europei” (v. Preambolo e art. 1.2 del TUE). Ecco la domanda che dà inizio al lavoro dell’A.: “dinanzi al pericolo di una riattivazione del conflitto tra le nazioni e i popoli europei che rischia chiaramente di condurre alla disgregazione della stessa UE, quali sono le possibili strategie attivabili dallo studioso di diritto costituzionale?”. […]