Luca Borsi, L’itinerario di Pietro Chimienti, da liberale a fascista

“Ave Caesar, morituri te salutant”. Così il costituzionalista e deputato Chimienti si rivolgeva al novello corpo elettorale, che la riforma voluta da Giolitti andava ad ampliare rendendo il suffragio maschile quasi universale. Egli interveniva (nella discussione generale sul disegno di legge elettorale) a favore (richiamando come Sonnino e Bismarck fossero stati fautori del suffragio universale), a nome degli esponenti del glorioso partito liberale, “noncuranti della nostra giornata di potere che tramonta”. “V’è, in quest’ora solenne, la sincerità dei moribondi”, “in quest’ora d’addio o di arrivederci, dopo un viaggio, al quale ci accingiamo, attraverso alla grande anima del Paese”. Quel lungo viaggio condurrà Chimienti all’adesione al fascismo. Se appena conclusasi la Grande guerra – nel pubblicare il suo Manuale di diritto costituzionale – egli poteva guardare al governo parlamentare come a forma di governo che avesse resistito alla difficile prova, ben presto il suo avviso mutò, innanzi alle convulsioni del dopoguerra.

Intervenendo in Senato (era stato nominato senatore nel 1921) sulle comunicazioni dell’appena incaricato secondo governo Facta, egli ammoniva che l’ordine pubblico non dovesse valere come questione politica o programma di governo perché questo avrebbe significato lotta contro il fascismo, con esacerbamento delle fazioni e della guerra civile. Come nel 1901 non era stato il movimento proletario da combattere, così non lo era il fascismo, “una potente organizzazione di difesa conservatrice, che non è dovuta alla guerra, ma che è cominciata col movimento nazionalista”, infine insorta contro la svalutazione della grande guerra […]

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