Mi sono avventurato nella lettura di questo libro con spirito ben disposto verso l’autore – nonostante lo conosca bene! potrei dire per celia. E la lettura ha premiato questa predisposizione d’animo: è un libro che mette voglia di studiare, mette voglia di leggere, mette voglia di scrivere.
È un elogio del giolittismo, scritto per un certo (limitato) riguardo da un non giolittiano. Scriveva Vittorio Emanuele Orlando che “una parola in più di quel che occorre è per l’onorevole Giolitti una parola vana. Chi ha avuto occasione di rivedere insieme a lui uno scritto qualsiasi sa l’odio deciso col quale persegue gli aggettivi”. In questo Luigi Compagna non è giolittiano, perché la sua prosa, il suo scrivere, il suo approccio sono rotondi, potremmo dire ‘spadoliniani’. Non disdegna il colore, a tratti l’effetto; è lontano dalla laconicità giolittiana – ben testimoniata, questa, dal fatto che quando il Parlamento riaprì per approvare il disegno di legge di conversione del decreto-legge di annessione della Tripolitania e Cirenaica, ed una folla plaudente spontaneamente si radunò sotto Montecitorio, Giolitti si affacciasse dal balcone e – con ben maggiore stringatezza rispetto ad affacciamenti dal balcone venturi- dicesse: “Italiani, a nome del Governo vi ringrazio di questa grandiosa manifestazione. Vi prego di sciogliervi al grido di viva l’Italia”. Questo è, secondo i giornali del tempo, tutto lo speech che Giolitti pronunziò dal balcone.
Ma nel momento che si ammettevano nuove masse popolari al voto, come comunicare con loro? Come raggiungere queste masse? Come trasporre in un contesto non più liberale – personalmente non mi persuade l’espressione: “liberale oligarchico”- bensì democratico? Questo è uno dei nodi che sicuramente si pongono innanzi a Giolitti.
Il libro di Luigi Compagna è sollecitante, per gli stimoli e i rovelli che pone, come anche nei punti e nelle affermazioni non integralmente condivisibili. Ad esempio non mi persuade fino in fondo il concetto di “moralismo di massa”: può essere, al più, un moralismo di “piazza”. Non è, tuttavia, solo questo. Sono umori nazionalisti, imperialisti, declamatori, alcuni; altri, risorgimentali schietti. È un intreccio, laddove l’espressione moralismo di massa fa più pensare al 1992 all’Hotel Raphael, piuttosto che a una scena del 1914-1915. […]