La scelta del titolo di questa sessione, in cui si accostano apertamente l’“Europarecht” e l’“Abbau des Sozialstaats”, non può passare inosservata. Sono quasi vent’anni, ormai, che uno degli sforzi più significativi portati avanti dalla riflessione giuspubblicistica, non solo italiana, in tema di processo di integrazione sovranazionale è consistito nel tentativo di associare, combinare e financo implementare due orizzonti concettuali lontani: l’Europa e il suo diritto, da un lato, e lo Stato sociale, dall’altro. Colpisce, dunque, la circostanza che chi ha immaginato questo incontro e ne ha individuato la traccia abbia inserito tra le due espressioni “Europarecht” e “Sozialstaat” il termine “Abbau”: una parola che si traduce in italiano con abolizione, soppressione, abbattimento, smantellamento e che appare forse ancor più drastica – ma probabilmente la diversa origine anglosassone induce a una siffatta più intensa colorazione – di quella, non sconosciuta agli studi costituzionalistici italiani e tedeschi e che denota una maggiore gradualità, di “Demontage” sociale.
Si è quindi arrivati, a cagione della crisi economica in atto, al capovolgimento finale di quella messe di trattazioni che hanno investito così tanto e così a fondo il tema della cosiddetta Europa sociale e del cosiddetto modello sociale europeo, giungendo ora all’associazione concettuale, uguale e contraria, di diritto europeo e smantellamento dello Stato sociale? La conclusione a cui si crede di poter pervenire – pare il caso di anticiparla sin da ora – è che, così come il processo di integrazione europea, nella sua fase montante, ha solo lambito e solo indirettamente implementato la dimensione sociale dell’esperienza giuridica, mentre lo Stato è sempre stato – si perdoni il gioco di parole – il “luogo elettivo della costruzione della solidarietà sociale in Europa” (e sarà forse il caso di interrogarsi, un giorno e con il giusto distacco, sulle ragioni per le quali la dottrina, anche italiana, ha grandemente e in qualche caso generosamente sopravvalutato quell’implementazione, in virtù di un atteggiamento che si è già qualificato in un’altra occasione di incontro scientifico come ipercostituzionalismo); allo stesso modo, oggi, in tempi di crisi economica incipiente, è solo indirettamente che quell’Abbau des Sozialstaats evocato nel titolo può essere ricondotto a un Europarecht, apertamente o apparentemente collocato – parafrasando la valutazione data da P. Krugman a proposito degli attuali studi di macroeconomia – nei suoi “anni bui”.
Di ciò pare possibile dare conto, già in prima battuta, attraverso due ordini di argomentazioni, una di tipo storico e l’altra di carattere comparativo. Quanto alla prima, pur senza giungere a sostenere che le discussioni sulla crisi dello Stato sociale siano risalenti quanto quelle sullo Stato sociale stesso, va nondimeno rilevato come le prime analisi della dottrina giuspubblicistica italiana, che mettono a tema l’arretramento dei diritti sociali e i suoi possibili limiti giuridici – e ci paiono, oggi e nel bel mezzo di un’altra crisi economica, davvero pionieristiche – risalgano già alla prima metà degli anni Ottanta del secolo scorso e raccolgano le consolidazioni delle fratture intervenute nel decennio precedente. Così, tra i lavori più significativi di quella stagione, meritano di essere riletti e ricordati un importante volume del 1982, curato da A. Baldassarre e da A. A. Cervati e intitolato, per l’appunto, Critica dello Stato sociale; le monografie del 1984 di B. Caravita sull’uguaglianza sostanziale e di M. Luciani sulle decisioni processuali della Corte costituzionale; e, ancora, una coeva serie di saggi raccolti da M. Cammelli e intitolati alle “istituzioni nella recessione”. […]