Pochi temi della riflessione scientifica intorno al sistema italiano di giustizia costituzionale sono stati scavati e dissodati come quello che mi è stato cortesemente assegnato dagli organizzatori di questo convegno – che ringrazio – da parte tanto dei cultori degli studi costituzionalistici, quanto di quelli di altre discipline giuridiche, in primo luogo i processualisti civili e penali. Non dovrebbe essere facile, pertanto, riuscire a dire qualcosa di nuovo sui rapporti tra la giurisdizione costituzionale e le giurisdizioni comuni nella storia repubblicana. Certamente, proprio il carattere congenitamente dialettico e per ciò stesso necessariamente dinamico di tale relazione ne esalta la dimensione evolutiva; e per questo non posso che plaudere a un’iniziativa, qual è quella odierna, che assume la Costituzione repubblicana tra continuità e rottura e, dunque, tra diritto e storia, perché solo nella dimensione storica è possibile fondare una compiuta e auspicabilmente convincente ricostruzione giuridica anche dell’argomento che sono chiamato a trattare. Al contempo, però, non posso esimermi dal manifestare preliminarmente – ché questa considerazione costituirà, per così dire, il filo di tutto il mio discorso – un senso di scarso appagamento, se non di vera e propria insoddisfazione, per le alterne e talora incerte soluzioni con cui il giudice costituzionale e i giudici comuni sono pervenuti a configurare, nel corso di ormai più di sessant’anni, i loro rapporti vicendevoli; un’insoddisfazione, peraltro, imputabile non a quei giudici, ma alla stessa configurazione complessiva del sistema italiano di giustizia costituzionale. […]
Marco Benvenuti, I rapporti tra la giurisdizione costituzionale e le giurisdizioni comuni nella storia repubblicana (ovvero dei problemi e delle prospettive del sindacato di legittimità costituzionale in via incidentale come sineddoche)
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