Guardando all’Ordinamento iraniano l’osservatore occidentale, specie se eurocentrico, potrebbe stupirsi che il principio del suffragio universale sia centrale nell’assetto della Repubblica islamica. Il suffragio universale, anzi, è un principio del tutto familiare all’intera tradizione di dottrina politica islamica. Per quanto la designazione del Califfo dopo la morte di Mohammad sia avvenuta per “consultazione” o shura, e per quanto questo concetto non sia stato recepito dalla componente sciita dell’Islam ― piuttosto radicata intorno alla “designazione testuale” o nass ― in Iran si vota a suffragio universale ogni organo centrale: salvo la Guida Suprema, che è eletta in via indiretta.
Le componenti iraniane di opposizione laica si riconoscono per lo più nell’eredità degli Shah Pahlavi, che mutuarono dal seguito della Rivoluzione di primo ‘900 un sistema di Monarchia costituzionale. In realtà, la “Rivoluzione costituzionale” del 1907-11 era stata influenzata soprattutto da ideali democratici, cui si affiancarono sia le componenti socialiste sotto ascendente bolscevico che i filoni del Riformismo islamico: facendo registrare addirittura tentativi di sincretismo tra i rispettivi riferimenti ideologici. Quando lo Shah Reza Mohammad Pahlavi, succeduto al padre Reza Shah nel 1941, aprì al suffragio universale negli anni ‘60 del XX secolo, l’effettiva gestione del potere rimase accentrata nella sua Corte: senza concedere prerogative di controllo al Parlamento e, in continuità con il regime di suo padre, reprimendo ogni dissenso a partire dal Riformismo islamico. Da sempre in Iran i membri del clero sciita hanno un ruolo influente, ancor più da quando la Rivoluzione costituzionale ha aperto loro la possibilità di una partecipazione diretta nel sistema politico, che con il sistema khomeinista si è tramutata in vero e proprio controllo delle strutture religiose su quelle civili. Donde, la forma di regime iraniana può essere obiettivamente inscritta nel novero delle teocrazie, ma con delle prerogative che hanno portato alcuni a definirla una “teocrazia costituzionale”. Già prima dell’avvento del velayat e-faqih del 1979, tuttavia, il confronto tra clero riformista e intransigente è stato elemento portante della vita politica di questo Paese. In Iran è sempre stato evidente, nello scontro tra clero intransigente, tradizionalmente inserito negli ambienti di potere, e riformista, più vicino alle istanze della società civile ma nel rispetto delle gerarchie sciite, come la legittimazione islamica possa sia giustificare l’accentramento del potere che costituirne un limite. […]
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