Nonostante i rilievi dell’organo di controllo interno della forma di governo parlamentare italiana, qual è il Capo dello Stato, che nel messaggio di fine anno 2018 ha sollecitato gli attori politicamente rilevanti a discutere costruttivamente sull’iter di approvazione della legge di bilancio 2019 e assicurare per il futuro condizioni adeguate di esame e di confronto, sulla questione è intervenuto anche – perché chiamato in causa – l’organo di controllo esterno, qual è la Corte costituzionale. Quest’ultima si è pronunciata con l’ordinanza n. 17 del 2019 a proposito del ricorso per conflitto di attribuzione presentato da 37 senatori del Partito democratico, per l’eccessiva compressione dei tempi parlamentari in occasione dell’esame e dell’approvazione della legge di bilancio 2019, nonché del ricorso alla prassi del maxi-emendamento e della questione di fiducia, quest’ultima costante a partire dalla XIII legislatura e che – anche a giudizio della Corte – si può ritenere consolidata.
Come già anticipato nella precedente edizione delle cronache costituzionali italiane di questa Rivista (n. 3/2018), la vocatio alla Corte ha trovato giustificazione in ragione della paventata contrazione delle tempistiche per l’esame della predetta legge sia in Commissione, sia in Aula e che dunque esula da profili sostanziali e contenutistici del medesimo provvedimento. In particolar modo, i ricorrenti hanno lamentato “le modalità con cui il Senato ha approvato, nella notte tra il 22 e il 23 dicembre del 2018, il disegno di legge «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» (A.S. 981)”. La Corte, pur dichiarando l’inammissibilità del ricorso, ha però ritenuto opportuno fare delle precisazioni e ha per la prima volta riconosciuto tra i soggetti legittimati a sollevare conflitto di attribuzione anche il singolo parlamentare, con una decisione che può definirsi storica. Nel merito, il Giudice delle leggi ha negato che la procedura seguita per la deliberazione definitiva del principale documento di programmazione economico-finanziaria sia stata illegittima, precisando però non solo che “i lavori sono avvenuti sotto la pressione del tempo dovuta alla lunga interlocuzione con le istituzioni europee, in applicazione di norme previste dal regolamento del Senato e senza che fosse stata del tutto preclusa una effettiva discussione nelle fasi precedenti su testi confluiti almeno in parte nella versione finale”, ma anche che “la breve durata dell’esame e la modifica dei testi in corso d’opera, lamentate dai ricorrenti, potrebbero essere state favorite dalle nuove regole procedurali, verosimilmente dettate allo scopo di rafforzare le garanzie della copertura finanziaria delle leggi, ma foriere di effetti problematici, in casi come quello di specie, che dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte dei competenti organi parlamentari ed eventualmente rimossi o corretti”. […]