Cosa c’è dopo le costituzioni nazionali? Lungo il fenomeno del costituzionalismo, che ha una lunghissima storia (M. Fioravanti, Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze attuali, Laterza 2009), la nascita delle costituzioni statali segnò una discontinuità importante, specialmente in termini di positività della “legge superiore”. Veniva così incarnata una concezione gerarchica dell’ordinamento giuridico, che insediava i testi costituzionali nello scranno più alto. Tuttavia, quella concezione gerarchica, specialmente negli stati dell’ Europa continentale, non era priva di ambiguità, in quanto conviveva con una concezione della dimensione costituzionale affidata prevalentemente alla legislazione, che finiva per attribuire al documento costituzionale una forza minore di quella che gli sarebbe toccata (M.R. Ferrarese, Dal verbo legislativo a chi dice l’«ultima parola», Annuario di diritto comparato e di studi legislativi 2011).
Ad ogni modo, le carte costituzionali, con appendice di relative corti, fino agli ultimi decenni del 900, erano un lusso che si potevano permettere soprattutto gli stati occidentali retti da regimi democratici, mentre, per il resto del mondo, il problema non si poneva in termini espliciti, o c’era un costituzionalismo affidato alle tradizioni costituzionali, nonché ad alcune protezioni tipiche del diritto internazionale. Rispetto a questo assetto, gli ultimi decenni del 900, con il loro scivolamento verso la globalizzazione, hanno segnato varie importanti novità, a partire dalla consistente crescita del numero delle costituzioni nazionali, che ormai interessano quasi tutti gli stati esistenti nel mondo (Cassese, In nome del popolo o in nome della Costituzione? IRPA, 2010). […]