Nella storia degli ordinamenti statuali contemporanei la posizione costituzionale dei partiti politici disegna una “parabola”, che li ha visti, dapprima, fronteggiare la diffidenza – se non l’ostilità – delle istituzioni nei loro confronti; in seguito, con l’avvento della democrazia di massa conseguente all’introduzione del suffragio universale, divenire uno strumento essenziale di integrazione del corpo elettorale nelle istituzioni e assurgere così ad “effettivi detentori del potere politico nella vita dello Stato”; per poi andare incontro, negli ultimi decenni, ad una crisi di legittimazione e di capacità di mobilitazione che ne ha messo seriamente in discussione il ruolo di ingranaggi necessari e quasi esclusivi della funzione di rappresentanza.
All’apice di questa parabola, che coincide con il secondo “dopoguerra”, tra democrazia rappresentativa e partiti politici si è instaurato un rapporto di necessaria presupposizione, tale per cui la prima non poteva funzionare correttamente – o, addirittura, non poteva neppure essere immaginata – senza i secondi.
Ai partiti é toccato di dare ordine alla magmaticità, eterogeneità e contraddittorietà delle opinioni e delle inclinazioni politiche individuali, organizzando le aspirazioni delle diverse classi sociali e convogliandole all’interno delle istituzioni, mediante la definizione di un’ideologia di riferimento, l’elaborazione di un programma politico-legislativo, la selezione di una classe dirigente. L’estensione del suffragio all’intera popolazione ha reso indispensabile tali funzioni, non essendo praticabili nelle società contemporanee né forme di democrazia diretta né, in alternativa, forme di democrazia “polverizzata” e frammentaria, nella quale ciascun elettore potesse liberamente esprimere la propria idea politica o proporsi come rappresentante di altri elettori, al di fuori di un’organizzazione di partito. Tale funzione è stata agevolata da una divisione della società in classi con rivendicazioni e interessi affini, così che è risultato naturale immaginare di “costruire” la competizione politica come un confronto vivace e dialettico tra partiti dotati di eguali chances, ciascuno esprimente una diversa proposta politica e un diverso modello di società. […]
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