Sia consentito esordire con un’ovvietà: col ricordare cioè la complessità della figura di V.E. Orlando, figlia dei molti ruoli ricoperti (giuridici e politici1), della eccezionale longevità che gli permise di attraversare tutta la storia italiana dall’Unità alla democrazia e, cosa più importante, della straordinaria densità della sua riflessione giuridica. La considerazione è ovvia, ma non inutile. Non fosse altro perché consente di mettere a fuoco il tema della presente riflessione. Quella complessità, infatti, che sempre ispira ogni ricostruzione del pensiero e della vicenda intellettuale orlandiana, non sembra emergere con altrettanta evidenza nelle interpretazioni dell’ultimo Orlando, che appaiono generalmente schiacciate sull’immagine di un giurista estraneo al consesso costituente. Non si tratta ovviamente di un’interpretazione inesatta.
In primo luogo perché furono altri – e non Orlando – i veri protagonisti della fase costituente. Ma soprattutto perché è lo stesso Maestro palermitano a descriversi sovente in quegli anni come un sopravvissuto, un uomo di un’altra epoca catapultato – suo malgrado – in un mondo completamente nuovo, che non riusciva a comprenderlo. Tuttavia, se questa ricostruzione non è inesatta, al tempo stesso non pare però nemmeno del tutto esaustiva. Di qui l’obiettivo di queste pagine: provare cioè a sfaccettare questa interpretazione, restituendo all’ultimo Orlando maggiore tridimensionalità. E per farlo non v’è modo migliore che analizzare l’ultimo tratto della sua parabola intellettuale proprio alla luce della straordinaria complessità del suo pensiero giuridico, delle molte tradizioni che lo innervarono e della grande capacità di Orlando di rielaborarle e ordinarle in un sistema coerente, ma non per questo privo di elasticità. È nelle pieghe di quel sistema, dunque, che vale la pena indagare, nel tentativo di restituire un’immagine più articolata dell’impegno costituente di V.E. Orlando. È impossibile, tuttavia, non muovere dalle considerazioni più evidenti, che nascono da una domanda non solo legittima ma addirittura scontata, ossia: cosa aveva a che fare Orlando con l’Assemblea costituente? La risposta è obbligata, e decisamente tranchant: assolutamente nulla. Anzi: la stessa espressione ‘V.E. Orlando costituente’ sembra rappresentare un ossimoro, una classica contradictio in adiecto. […]
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Di seguito si riporta il sommario dell’articolo: 1. Del perché si dovrebbe ritenere V.E. Orlando estraneo rispetto all’esperienza costituente; 3. Due validi argomenti a favore e un’ancor più valida obiezione; 4. Due concetti chiave, il diritto e il Parlamento, come possibili spiegazioni dell’apparente antinomia.