Il momento storico attuale, segnato dalla crisi economica esplosa nel 2008, che ha piegato le economie mondiali – ancora oggi annaspanti e alla ricerca disperata di una difficoltosa ripresa –, ha reso manifesta l’impotenza degli Stati nazionali nel dominare autonomamente le incursioni speculative della finanza globalizzata con gli ordinari strumenti di politica monetaria. Con riferimento al livello sovranazionale europeo, il grado di integrazione e interdipendenza delle economie degli Stati membri, culminato con l’adozione della moneta unica, ha sottratto pilastri fondamentali della sovranità economica statale, mostrando al contempo la debolezza di un’unione economica in assenza di una compiuta unione politica. Lo spazio di manovra degli Stati membri dell’Unione – in particolare di quelli considerati eufemisticamente “poco virtuosi”, come l’Italia – si è ridotto ad un piano sostanzialmente esecutivo di politiche di austerità eterodirette, considerate salvifiche e indispensabili per fronteggiare l’attuale contingenza economica. Le conseguenze nefaste di tali “ricette” si sono abbattute – elemento, questo, di non scarsa importanza – sulle frange più deboli, come pure sul c.d. “ceto medio”, bacino di consenso per eccellenza per i partiti di governo nelle democrazie occidentali. Lo stato sociale, che ha contraddistinto il modello costituzionale europeo del secondo dopoguerra, viene dipinto dai “manovratori” nazionali e sovranazionali come un fardello dannoso sulle spalle di economie soffocate da anni di sprechi, malversazioni ed eccessivo assistenzialismo.
In un tale contesto, il dialogo tra L. Canfora e G. Zagrebelsky, curato dal prof. Geminello Preterossi, mira – per parafrasarne il titolo – allo smascheramento di un portato ideologico che – lungi dal potersi fregiare della tanto propagandata “neutralità tecnica”, funzionale all’accettazione sociale di quella che è una certa, determinata e particolare visione politica –, è il frutto avvelenato dei rapporti di forza esistenti nella società contemporanea. Le dinamiche di potere, al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, appaiono oggi sfuggenti e assai poco comprensibili alla gran parte dei cittadini europei. Si assiste, in altre parole, all’accentramento di potere economico e decisionale, sostenuto da un monopolio delle competenze di cui è figlia una pervasiva retorica dell’inevitabile. Questa, allentando ulteriormente i già deboli lacci della responsabilità politica domestica e sovranazionale, si rivela utile tanto ai decisori quanto agli esecutori ai fini del perseguimento di obiettivi politici parziali, propagandati come interesse generale.
Dagli Autori è offerta – senza, peraltro, sacrificare la scorrevolezza e la comprensibilità delle argomentazioni, proprie della forma dialogica –, una lettura del reale in una prospettiva storico-costituzionale. L’intento – per così dire – socratico è che il lettore possa prendere coscienza delle forme concrete di strutturazione del potere nella società post-moderna, onde «stracciare il velo» dietro cui si celano le «forze retrosceniche» che condizionano le dinamiche sociali. Tutto ciò nella consapevolezza che «il conflitto in atto sia proprio questo: battersi affinché il suddito ridivenga cittadino» (pp. 12-13).
Col muovere da un inquadramento storico-filosofico del concetto di potere oligarchico di ascendenza aristotelica, gli studiosi propongono un’interpretazione del concetto di oligarchia nel contesto odierno. Lo sforzo definitorio consente, per questa via, di porre in luce i caratteri tanto materiali quanto antropologici della tendenza alla concentrazione oligarchica del potere, che ha segnato da sempre la storia dell’umanità, in ogni epoca e ad ogni latitudine. Ciò che emerge dall’analisi sono i profili distintivi della “nuova” oligarchia, rispetto ai precedenti storici del fenomeno. In tal senso, risulta di tutto interesse la denuncia del moderno nichilismo culturale, la cui manifestazione concreta è rinvenibile in un’inedita confusione dei mezzi con i fini: denaro e potere – che in epoche storiche precedenti hanno costituito per le classi dominanti i mezzi utili al perseguimento degli obiettivi più disparati –, a tutt’oggi, nel circolo vizioso del loro reciproco collegamento, assurgono l’uno a «strumento di conquista, di garanzia e di accrescimento dell’altro» (pp. 8-9). […]