Nausica Palazzo, Bugie di carta: un argine penale al negazionismo

Il dibattito di giuristi, storici e studiosi di vario genere — del resto mai sopito — sul tema del negazionismo dimostra, per ampiezza e profondità, la centralità del tema nella definizione della base valoriale e nell’attuazione del patto costituzionale degli ordinamenti liberi. Gli ordinamenti costituzionali contemporanei, consci del loro essere sistemi soggetti a processi autoimmunitari, in grado di rivolgersi contro se stessi, hanno avvertito sin dal momento costituente il problema della necessaria limitazione di alcuni diritti fondamentali in funzione di protezione dell’esistente (c.d. democrazie protette)1. Nel caotico contesto attuale, catturabile con molti aggettivi, tra cui «postmoderno», la paura di non riuscire a mantenere un’identità, una coscienza storica, di non «essere» più niente perché le polarità sono troppo distanti e forse devono essere semplicemente giustapposte, senza fare sintesi, porta alcuni ordinamenti ad attivare le disposizioni di protezione o a introdurne delle nuove. Per quanto atipiche, tra queste rientrano le fattispecie penali volte a punire la negazione dei crimini di genocidio.

E da qui si arriva a lambire un problema limitrofo: fino a che punto i sistemi connotati da un forte pluralismo sociale possano reggere un ulteriore sviluppo del processo di democratizzazione2? Qual è verosimilmente il punto di rottura? In anni relativamente recenti si è potuto assistere ad una duplice tendenza: una progressiva attrazione della memoria nell’alveo processo di costruzione di identità collettive, e un graduale tentativo di decostruire la storia “ufficiale”. Quanto al primo profilo, se ne possono rinvenire le origini nel fenomeno di “memory boom”3, nel crollo dei regimi autoritari e nella diffusione della cultura e dell’ideologia dei diritti umani4, con la conseguente nascita di rivendicazioni da parte delle vittime di genocidio. In particolare, il fenomeno di “memory boom”, visibile in Europa specialmente in ambito accademico e a livello di opinione pubblica, culminante con l’introduzione di giornate della memoria, siti della memoria e una pletora di gesti simbolicamente commemorativi, è stato il frutto di pressioni ad un tempo politiche e tecnologiche. […]

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