E’ stato scritto e detto molto – sebbene forse più nel dibattito politico di stampo opinionistico e giornalistico che in quello dottrinale – sulla riforma della nuova Costituzione ungherese approvata nell’aprile del 2011 ed entrata in vigore il 1° gennaio di quest’anno. Come è noto, essa ha generato timori che riguardano sia aspetti di carattere generale – solo a menzionarne alcuni, la procedura che ha portato alla sua adozione, il carattere generico di molte disposizioni associato al fatto che essa rimandi a leggi definite “cardine” (in sostanza leggi organiche) per la disciplina di importanti materie costituzionali ma anche di materie più specifiche, l’inserimento di disposizioni precedentemente dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale–, sia aspetti settoriali quali la riforma della Corte costituzionale e della Banca centrale e l’affermazione del principio della protezione della vita dell’embrione a partire dal concepimento. Nelle pagine che seguono mi soffermo su un aspetto specifico della riforma del sistema costituzionale ungherese, quello riguardante il sistema giudiziario. In particolare, esamino brevemente gli aspetti che hanno suscitato maggiore attenzione, operando un’analisi sintetica ma contestualizzata che cerchi di andare oltre considerazioni di carattere puramente normativo relative al conflitto tra le nuove norme e i principi dello Stato di diritto. L’analisi tralascia volutamente il tema – oggetto di maggiore considerazione – della giurisdizione costituzionalelimitandosi alle corti ordinarie.
Simone Benvenuti, La riforma del sistema giudiziario ungherese tra recrudescenze autoritarie e governance europea
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