Conviene, per chiarezza espositiva, premettere all’esame del nostro argomento qualche rapido accenno alla situazione che ha portato alle elezioni anticipate del febbraio scorso. Cominciando col ricordare l’iniziativa, legittima ma extra ordinem, del CDS che, nel novembre del 2011, ebbe a sfociare nelle dimissioni del Governo Berlusconi (nato all’inizio della XVI legislatura, nel 2008) e nella formazione del Governo Monti sostenuto – come lo stesso Presidente del Consiglio rilevò in più occasioni – da una “strana” maggioranza. “Strana” soprattutto perché composta dai due principali partiti nazionali che fin dall’inizio della legislatura erano stati irriducibilmente antagonisti: l’uno (il PDL) al Governo e l’altro (il PD) all’opposizione. Ebbene, come certo ricorderete, il Governo Monti cadde a fine dicembre scorso per l’inopinato ritiro della fiducia annunciatogli in Parlamento dal PDL. Con questo abbandono si esauriva, quindi, dopo poco più di un anno dal suo inizio -e poco prima della fine naturale della legislatura – l’esperimento di un Governo che, composto da “tecnici” e non da esponenti di partito, può essere considerato come la versione all’italiana delle cosiddette “grandi coalizioni”, non di rado praticate all’estero. Versione peculiare nel senso che partiti naturaliter antagonisti convenivano bensì di collaborare in nome dell’unità nazionale necessaria a fronteggiare una situazione economica di emergenza; e tuttavia non davano vita ad un Governo politico comune, nel quale cioè i partiti si fondono, bensì ad un Governo “tecnico”; verso il quale i partiti, senza fondersi, si impegnavano a sostenerne l’attività attraverso una sorta di “convergenze parallele” (come potremmo dire per ricalcare un ossimoro coniato tanti anni fa da A. Moro). Si esauriva, dunque, quell’esperienza e, con le elezioni anticipate di febbraio, veniva data la parola agli elettori affinché decidessero loro il futuro politico del paese.
A questo punto è il caso di mettere in rilievo, entrando in pieno nel merito del nostro argomento, una seconda iniziativa del Presidente Napolitano, sicuramente legittima (poiché nulla gli impediva di prenderla), ma oggettivamente opinabile. Mi riferisco all’accettazione immediata delle dimissioni di Monti, invece di rinviarlo alle Camere per fargli spiegare, in un pubblico dibattito, le ragioni delle dimissioni stesse (al di là del formale ritiro della fiducia da parte del PDL); rinvio che avrebbe permesso ai cittadini di formarsi un’opinione riguardo alle responsabilità di partiti e persone nella vicenda in discorso. E qui conviene rammentare come, a cavallo degli anni settanta e ottanta, l’allora PR Sandro Pertini, in nome della “centralità” del Parlamento nelle nostre istituzioni, ebbe ad avviare la prassi della “parlamentarizzazione” delle crisi di Governo, pretendendo cioè che l’esecutivo -prima di presentarsi dimissionario al CDS – si recasse in Parlamento per illustrarvi le ragioni delle sue decisioni, e dare modo ai rappresentanti della nazione di pronunciarsi in proposito. Questa prassi, in verità, non venne puntualmente osservata dai successori di Pertini, per motivi di opportunità politica. Ma direi che se c’era un caso in cui sarebbe stato giusto rinverdire tale prassi, questo erano proprio le dimissioni del Governo Monti, sia per la loro estemporaneità, sia perché dopo di esse i cittadini sarebbero stati presumibilmente richiamati ben presto ai seggi elettorali. Ed in effetti elezioni furono, subito, addirittura a febbraio contro ogni consuetudine “stagionale”, con scioglimento delle Camere disposto dal CDS proprio alle soglie del cosiddetto semestre bianco. Ma, come è noto, il voto – complice anche una legge elettorale escogitata apposta dal centrodestra nel 2005 per impedire la allora pronosticata vittoria del centrosinistra – ha portato ad un risultato assai sorprendente. Un risultato che, nell’aggravare il nostro già difficile quadro partitico, ha ingarbugliato altresì la formazione del Governo postelettorale, mettendo a dura prova il compito di colui che, per Costituzione, è chiamato a rimettere in moto i meccanismi istituzionali quando si inceppano, ossia il CDS. Il quale per di più stava arrivando in prossimità della scadenza del suo settennato (aprile 2013): cosa che, nel sottrargli (ai sensi dell’art. 88 Cost.) la disponibilità del principale potere inteso al superamento dei conflitti politici – ossia lo scioglimento anticipato delle Camere – riduceva il peso delle sue raccomandazioni. Cosicché, ad elezioni avvenute, ed una volta espletate le consultazioni di prammatica, il CDS si è attenuto alla regola generale di conferire l’incarico di formare il Governo alla personalità che dalle consultazioni gli appariva più idonea ad ottenere la fiducia delle Camere. […]