In un volume dal titolo assai esplicito, Gino Scaccia offre una ricostruzione e una critica dei momenti più significativi in termini giuridici e politici del mandato presidenziale, dalla durata eccezionale nella storia costituzionale italiana, di Giorgio Napolitano. Il tema è stato oggetto di un rinnovato e ampio interesse nel dibattito; in particolare in corrispondenza della rielezione per un secondo mandato presidenziale. L’Autore distingue la presidenza in esame in tre fasi: la “pedagogia della pacificazione” (2006-2011), la “gestione della crisi del modello bipolare” (2011-2012), la “rielezione, tutela sul governo Letta e ascesa di Renzi” (2013-2013). L’obiettivo è collocare gli eventi politici nell’ambito di un rinnovamento del sistema parlamentare, in mutamento, secondo l’Autore, verso una forma dualistica con un ruolo più accentuato del capo dello Stato.
Per raggiungere lo scopo, l’Autore ricostruisce la natura giuridica dell’istituzione, partendo dalle prime interpretazioni sul ruolo del capo dello Stato. Il tema di fondo è un classico del diritto costituzionale, così come le posizioni che ammettono un ruolo forte e un protagonismo accentuato del presidente. Il dibattito dottrinale sul tema si è polarizzato intorno ai termini della dicotomia “impolitico-iperpolitico”: ora considerando esclusivamente le attribuzioni classico-garantistiche di una forma di regime parlamentare; ora invece interpretando le innovative attribuzioni costituzionali di nomina dei giudici di legittimità, di presidenza di CSM e CSD, quali elementi di attività politico-esecutiva del presidente. La Costituzione dispone una disciplina davvero essenziale della figura del presidente, la quale lascia agli interpreti la ricostruzione teorico-dogmatica e alle singole personalità che nella storia la incarnano, la stratificazione consuetudinaria di elementi significativi per darle attuazione. In sostanza si dimostra che la dottrina contemporanea accetta un certo grado di flessibilità del ruolo del presidente, con conseguente ampio margine di azione politica.
L’Autore sostiene che è possibile analizzare come i caratteri personali di un presidente incidono, nel corso del suo mandato, sulla natura giuridica dell’istituzione presidenziale, riuscendo comunque a tenere distanti dalla stessa analisi quei medesimi accidents of personality. Si vuole dunque verificare se nell’epoca contemporanea la Presidenza della Repubblica sia investita da una sorta di enlargement of powers, a causa della progressiva evoluzione giuridica dell’istituzione, ovvero se si tratta di una “semplice” seppur significativa “infatuazione quirinalizia” dettata dalle circostanze “forse irripetibili nelle quali si è svolto il mandato di Napolitano” (cfr. p. 17).
Si cerca quindi di chiarire se si impone un modello duale di forma di governo parlamentare, in cui il Capo di Stato è parte dell’esecutivo e può incidere sulla sua agenda, con strumenti quali il potere di veto.
L’inquadramento storico parte dalla “pedagogia della pacificazione nazionale per la stabilizzazione del bipolarismo (2006-2011)”. Si rileva la profondità della analisi sul regime nel suo complesso, che osserva la natura e la funzione storica delle Presidenze precedenti. Scalfaro, gestore politico della crisi di Tangentopoli, “presidente-governante”; Ciampi estraneo al “mondo della politique politicienne della Prima Repubblica”, e agli “homines novi della seconda”. Napolitano, eletto con minore consenso dei predecessori (quattro scrutini per il 53,8% dei voti) è un politico professionale senza dubbio, in distonia con la politica di rinnovazione ed apertura alla società civile dei partiti in campo nel 2006. La presidenza si avvia quindi con la ricerca del consenso tra i partiti; l’Autore rimarca questo dato, rinviando alle dichiarazioni di Napolitano ma soprattutto al suo mancato esercizio del potere di rinvio alle Camere, in alcuni casi controversi, non solo per la sensibilità o la critica generale, ma proprio dalla prospettiva dello stesso Napolitano. È il caso della legge n. 94 del 2009 in tema di sicurezza, promulgata e accompagnata da una lettera che ne evidenziava rilievi che avrebbero, per l’Autore, fondato senza alcuna forzatura, il diniego di promulgazione. Ma è anche il caso dell’avallo di leggi considerate dalla critica dell’epoca come ad personam, della nomina a ministro di Saverio Romano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, delle sue pressioni con cui chiede al CSM di astenersi da ogni vaglio di costituzionalità in sede consultiva sul c.d. lodo Alfano. Una serie di passaggi critici che per l’Autore servono a Napolitano ad ingraziarsi la parte che non lo ha votato. […]