I mesi che vanno da maggio ad agosto sono da segnalare soprattutto per il tentativo, operato dal governo, di riformare l’ordinamento giudiziario assumendo un controllo anche sull’operato della magistratura giudicante. Già nei lunghi anni trascorsi all’opposizione il partito attualmente al potere, “Diritto e giustizia” (PiS), oltre a non aver apprezzato la separazione tra esecutivo e pubblica accusa operato dalla precedente coalizione, dipingeva i giudici, soprattutto penali e civili, come una ‘casta’ collusa con il precedente sistema socialista cessato nel 1989, un relitto del comunismo: una critica di per sé discutibile date le radicali riforme della giustizia introdotte all’indomani della democratizzazione del paese e considerato anche il quasi integrale ricambio, anche per motivi generazionali, del personale. Non costituisce sorpresa dunque il desiderio di riformare questo decisivo settore della vita pubblica. Tuttavia lo choc è stato forte quando, in primavera, sono state rese pubbliche le proposte di riforma del Governo – qualcuna, per motivi pratici, presentata in veste di iniziativa formalmente parlamentare – il cui radicalismo ha superato ogni aspettativa.
In particolare si è trattato di un trittico legislativo composto di una manipolazione nella composizione della Corte suprema (acronimo polacco SN), nel funzionamento del Consiglio nazionale della magistratura (KRS, unico organo di rilevanza costituzionale che in Polonia sia stato in parte ispirato al CSM italiano) e nella facoltà per il ministro della giustizia di nominare e revocare a propria larga discrezione, con un limitato potere di controllo e moderazione ad opera dello stesso giudiziario, i presidenti dei tribunali di ogni grado, i quali svolgono nei propri uffici funzioni essenzialmente amministrative e finanziarie, ma che per ciò stesso influenzano, indirettamente ma in modo incisivo, la formazione della giurisprudenza, specie attraverso poteri di trasferimento e assegnazione. […]