Con il 2015 si apre per la Polonia il nono anno consecutivo in cui la formazione centrista liberale Piattaforma civica occupa posizioni dominanti di governo, e giunge a scadenza il primo mandato quinquennale alla presidenza della Repubblica di Bronisław Komorowski, uno degli esponenti principali di quel partito. Il 2015 è anche un ‘super-anno elettorale’, che inizia con le presidenziali di maggio e con le consultazioni legislative previste per ottobre. Appare stagliarsi all’orizzonte un anno di relativa stabilità e continuità politica, almeno per quanto riguarda la presidenza. All’inizio del 2015 – ma è una costante almeno da qualche anno – tutti i sondaggi della pubblica opinione rivelano come Komorowski sia la personalità politica più gradita, molto più degli stessi esponenti di governo e già suoi colleghi di partito, con indici che oscillano tra il 60 e il 70 percento di gradimento. La sua rielezione appare quasi una necessaria formalità, al punto che si confida nel fatto che il dato politicamente assai più problematico e incerto – la conferma della Piattaforma civica come partito di maggioranza relativa alle elezioni legislative, per la terza volta di seguito dopo il 2007 e il 2011 – non possa che essere in qualche misura ‘trainato’ dal successo del riconfermato presidente. Lo stesso ritardo con cui Komorowski annuncia la sua candidatura, e il modo dimesso con cui la dichiarazione viene fatta, confermano una certa fiducia in se stessi da parte delle élites dominanti da alcuni anni nel paese. Nonostante qualche scandalo di entità complessivamente minore, e forse tollerabile nelle dimensioni per un partito che regge le sorti della nazione da molti anni, e nonostante la stanchezza inevitabile per chi detiene il potere da così lungo tempo, si confida nel fatto che sia sufficiente ai cittadini constatare che la Polonia è l’unico paese dell’Unione europea estesa a 28 membri che non abbia subito neanche un singolo anno di recessione, mentre il suo prodotto interno lordo è cresciuto in termini reali di oltre il 20 per cento dal momento in cui è esplosa la crisi economico-finanziaria globale nel 2008.
Per la stabilità del quadro politico non sembrano quindi derivare serie perturbazioni da fenomeni come il movimento di protesta anti-partitico dell’ex cantante e musicista rock Paweł Kukiz, che vuole rivoluzionare il sistema politico cominciando a estirparne le formazioni in esso dominanti dal governo e dall’opposizione, con metodo democratico ma con l’introduzione di un sistema maggioritario basato su collegi uninominali, un postulato imprescindibile ma che lascia aperti tanti altri punti interrogativi (peraltro la Piattaforma civica ha introdotto i collegi uninominali quasi ad ogni livello di governo ove ciò fosse possibile, incluse le elezioni del Senato, mentre per la Dieta non è stato possibile superare la previsione costituzionale di una formula ‘proporzionale’). Il principale partito di opposizione, Diritto e giustizia, opera da parte sua qualche correzione di rotta strategica. Già sul finire del 2014, decide a sorpresa di non presentare la candidatura del suo indiscusso leader Jarosław Kaczyński, che fu alla guida del governo tra il 2006 e il 2007, prima di perdere le successive elezioni politiche vinte da Donald Tusk e dalla Piattaforma civica, e che tentò invano di succedere nella presidenza della Repubblica al gemello Lech Kaczyński, in seguito al tragico incidente aereo in cui quest’ultimo rimase ucciso nel 2010, ma fu sconfitto da Komorowski. Si sceglie invece di presentare un giovane docente di diritto amministrativo di Cracovia, Andrzej Duda, 43 anni: una personalità poco conosciuta nel paese ma già consolidata nelle strutture di partito, già viceministro della giustizia, poi consigliere giuridico del defunto Kaczyński – per il quale aveva contribuito a redigere la famosa legge sulla epurazione dei pubblici funzionari sospetti di collaborazione con il precedente potere comunista, o lustracja, poi quasi del tutto cancellata dal Tribunale costituzionale – e infine eurodeputato dal 2014. Sembra un diversivo per distogliere l’attenzione dall’ultimo quinquennio di relazioni politiche avvelenate, tali da creare quasi un clima da guerra civile fredda, specie in merito alle vicende mai completamente chiarite del tragico incidente aereo del 2010 e alle vere o presunte responsabilità della forza di governo al riguardo.
Dopo che la carriera del premier Donald Tusk è stata coronata nel settembre 2014 dalla sua nomina a presidente del Consiglio europeo, il 2015 è l’avvio di Ewa Kopacz, una dei più fedeli amici politici di Tusk, come capo del governo. La linea della Kopacz è quella di una sostanziale continuità nella politica economica e in quella estera ed europea, ma con un felpato spostamento a sinistra sul piano dei diritti civili, tema su cui per esempio – dopo anni di infruttuose discussioni – si accelera l’iter di una legge che disciplini in maniera liberale la fecondazione eterologa in vitro, un tema molto percepito in un paese afflitto da denatalità e crescente invecchiamento demografico. Ma la risposta delle destre, e di movimenti genericamente protestatari come quello di Kukiz, è che la carenza di nascite e la persistente forte migrazione di giovani verso l’estero – in modo particolare il Regno Unito – sono dovute al precariato, al congelamento del mercato del lavoro per cui si trova un impiego solo grazie a conoscenze e ‘raccomandazioni’, all’(ancora) insufficiente retribuzione di quasi ogni posto di lavoro. Che ci siano alcune voci di insoddisfazione per l’ineguale distribuzione di un reddito pur complessivamente in crescita, per la precarietà e per aspettative di vita incerte, è cosa che comincia appena ad essere percepita. Quanto questo muro di rancore e insoddisfazione sia destinato a montare, è cosa che il seguito del 2015 sarà destinata a rivelare a tutti. […]