L’emergenza del Covid-19 fa irruzione in Polonia in ritardo rispetto all’Europa occidentale e in modo tale da consentire al Paese di affrontare la crisi con misure preventive molto decise, ma tarate su errori commessi altrove. L’opportunità, da questo punto di vista, è stata ben colta se tutti sono consapevoli che un disastro epidemico su larghissima scala sarebbe (o sarebbe stato) del tutto ingestibile da un sistema sanitario già in forte difficoltà in condizioni ordinarie. In ogni caso, il numero delle vittime a livello nazionale appare contenuto, entro la fine di aprile, ben al di sotto del migliaio, ciò che non ha impedito di instaurare un regime di lockdown abbastanza rigoroso, pagando in maniera del tutto consapevole il prezzo di una contrazione grave dell’economia.
Proprio il tema del Covid-19 ha formato in Polonia la puntuale occasione per acutizzare un conflitto costituzionale già grave. A tutti i già presenti elementi di preoccupazione, già rappresentati da oltre quattro anni in queste Cronache, il caso ha voluto si aggiungesse la coincidenza per cui a maggio del 2020 si sarebbero dovute svolgere le elezioni presidenziali. È meno che mai possibile considerare questa circostanza di un punto di vista meramente giuridico senza considerare le sue implicazioni politiche. Per il 10 maggio erano state indette, fin da febbraio, le consultazioni per il rinnovo della massima carica pubblica statale, alla quale ambisce per un secondo mandato il Presidente in carica Andrzej Duda (del partito di maggioranza, PiS), già eletto nel 2015. Con l’eventuale rielezione di Duda, che per cinque anni si è dimostrato ininterrottamente un uomo di partito, in totale simbiosi con gli orientamenti ideologici dell’ambiente politico di riferimento, si completerebbe il ciclo della riconferma del PiS al potere statale, il cui primo episodio fondamentale […]