I diversi stili della legge e della giustizia contro l’uniformità politica e la globalizzazione giuridica: questo il tema del volumetto edito dalla Laterza & Figli lo scorso marzo 2013, e scritto dal professor Pier Giuseppe Monateri, docente di Legge e Letteratura presso l’Università di Torino e membro di due illustri istituti: l’ Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna e l’International Academy of Comparative Law di New York.
Geopolitica del diritto, dunque, poiché è la legge, con i suoi diversi stili e linguaggi ma anche con le diverse modalità di legittimazione della giustizia, a stagliarsi contro un continuum giuridico predominante, tale da segnare una profonda spaccatura: quella fra lo ’stile’ orale della legge anglo-americana e lo ’stile’ scritto della legge continentale, due forme in antitesi a marcare una profonda dualità all’interno del mondo occidentale. L’ipotesi che l’Autore percorre nel corso di quella – che avverte – non sarà una trattazione sistematica ma un saggio (anche se parrebbe il contrario, visto il rigore logico con cui si procede attraverso i tre capitoli in cui è strutturato) è questa: se al di là di questo continuum giuridico che tende allo ’spazio politico liscio’, unica ad ergersi è la legge, segnando striature che interrompono tale uniformità, attestandosi in diversi modi, si potrebbe affermare che tutti i sistemi giuridici moderni siano il prodotto uscente da uno ’stato d’eccezione’, da una ’catastrofe’. Così accadde dopo la guerra civile endo-cristiana in Europa, o dopo la rivoluzione americana, e via dicendo. I differenti stili e le diverse strutture che sottendono a ciascun sistema giuridico non sarebbero, quindi, che testimonianze, ricordi o meglio, rappresenterebbero la memoria culturale che segna i modi con cui, di volta in volta, tali catastrofi sono state superate.
Da oltre un secolo, la Scienza del Diritto ha cercato di porre ordine in questo antitetico mondo delle relazioni giuridiche e politiche attraverso lo studio sistematico della legge – dunque, il common law inglese, il diritto romano, la sharìa musulmana ad esempio – al fine di dimostrare parentele e diversità al di là di meri raggruppamenti politici nazionali. Perché, se è vero che il diritto ha bisogno del ’dove’, come notava l’Irti, è altrettanto vero che il problema della norma e del luogo non ha solo a che fare con i soggetti e gli atti ascrivibili ad esso, ma lo stesso luogo sta ad indicare anche una ’diversa’ presenza della legge al suo interno. Dunque, ogni comparazione deve anche aver a che fare con la stessa ’instabilità’ della legge, ossia il suo presentarsi sempre in forma diversa. Ciò è tanto più rilevante oggi per la filosofia della politica, dal momento che si profila un venir meno delle differenze storiche in direzione di un cd. ’diritto sconfinato’, che inciderebbe sia sul contenuto pratico della legge, sia sulla sua stessa forma, tanto da porre la questione su di un piano ’ontologico’ oltre che meramente giuridico. Il Preterossi a tal proposito parla di uno sradicamento della legge e di un occultamento della politica, quali risvolti di uno stesso fenomeno. Ecco perché la direzione da seguire appare quella dello studio di una nuova morfologia che permetta d’indagare e di riesaminare quella che lo Sherwin definisce la uncanny presence della legge, ossia, della sua presenza elusiva ma potente. In tale contesto, dunque, torna in rilievo la questione delle legal origins, quali genealogie della modernità occidentale e pure delle sue marcate differenze. Questi tentativi mostrano, però, la loro debolezza quando mancano, a parer dell’Autore, di prendere in debita considerazione la diversa estetica della legge, caratterizzante i diversi sistemi, non meramente come stile, appunto, ma come ’ontologia’ della natura della legge resa ’visibile’, e per ciò stesso della politica che ne consegue. Secondo il Monateri, dunque, la Scienza del Diritto avrebbe proiettato sul mondo le proprie categorie, tanto da mantenere, ad esempio, una distinzione fra ’pubblico’ e ’privato’ palesemente evanescente se considerata globalmente. Come è noto, infatti, questa frattura rintracciabile nel diritto romano, riflette la formazione concettuale di società politica e società civile apparsa tra fine Settecento ed inizi Ottocento in Europa presso lo Stato europeo sorto dalle guerre di religione endo-cristiane. Ma tale distinzione politica è del tutto inadatta ad essere applicata al di fuori della tradizione europea: il riferimento va a quei sistemi che non l’hanno mai conosciuta, come quello arabo, indiano, cinese, e mal si adatta anche all’interno del continente europeo stesso, tant’è vero che la letteratura classica di common law, sia inglese che americana, non conosce alcuna distinzione fra il ’pubblico’ ed il ’privato’ analoga a quella elaborata dalla Francia e dalla Germania. A tal proposito si parla di uno scandalo della traduzione riprendendo l’opportuna espressione del Lawrence Venuti, e dunque, di una differenziazione: quella fra ’pubblicisti’, che hanno sempre esaminato i vari sistemi politici da un punto di vista formale guardando alle forme di stato e alle forme di governo; e fra ’privatisti’, che dal canto loro non hanno invece mai elaborato alcuna morfologia, bensì analisi genealogiche o strutturaliste, o entrambe, dividendo il mondo in famiglie giuridiche sulla base della loro genealogia. […]