Ogni analisi scientifica indipendentemente dalla sua neutralità e dalla volontà di porre come suo oggetto di studio un singolo settore, o, come avviene in questo volume, singoli profili costituzionali in tema di finanziamento dei partiti politici e di interventi regolatori dello Stato sull’uso del denaro da parte dei soggetti politici presuppone, come ebbe a riconoscere nel 1949 Schumpeter nel suo “Scienza ed Ideologia”, una “visione o intuizione del ricercatore”: l’opera della Prof.ssa Biondi, in grado d’essere, tanto rigorosa nella concatenazione logica degli assunti, nell’argomentazione delle comparazioni offerte, nella descrizione della evoluzione dei diversi modelli, e nelle referenzialità delle citazioni, quanto animata da un acume in grado di concentrarsi sugli elementi essenziali, tralasciando i “ballons d’essai” quotidianamente offerti dal dibattito politico e le critiche sovente rivolte al regime istituzionale vigente, le quali sembrano ormai divenute opinione dominante, e, più ancora, luogo comune, conferma la validità di questa osservazione.
Lo Stato in cui viviamo, attraversa un periodo di crisi profonda. Nonostante questa possa essere considerata come una condizione legata a vicende contingenti, è innegabile che certe affermazioni di principio assunte per lungo tempo come cardini dell’interno edificio costituzionale, sembrano aver perso parte della loro importanza.
Il dettato della Carta vuole il popolo come sovrano, e per conseguenza, dovrebbe imporre agli istituti rappresentativi d’esser efficace canale della volontà popolare, affinché essa abbia una diretta influenza sia nella elezione dei membri delle Assemblee legislative, che, di convesso ed indirettamente, nel processo di nomina degli organi di garanzia, i quali, e bene ricordarlo, restano in carica per un tempo più lungo della stessa legislatura.
Ma questa sembra essere divenuta formula astratta.
Una condizione questa che ripropone la necessità di un ripensamento, nella ricerca di una maggiore aderenza al principio costituzionale del “concorso” – dalla parzialità dello stesso concetto di partito si postulano necessariamente la sua complementarità con altri partiti, e l’esistenza di un “mercato politico” quanto più possibile libero da posizioni dominanti – della disciplina riguardante la tradizionale concezione del partito come associazione non riconosciuta di tipo privatistico.
La risposta del legislatore a queste pressanti richieste si è concretizzata nella scorsa legislatura con la Legge 96/2012, la quale ha in parte recepito i rilievi che, già nella seconda metà degli anni Ottanta, una attenta dottrina, aveva posto come condizioni senza la quali non sarebbe stato possibile uscire da uno stato già allora di perenne transizione:
– il passaggio dal finanziamento delle “strutture” a quello delle “attività”;
– una diversa articolazione del finanziamento tra centro e periferia per favorire la democrazia infra-partitica;
– l’utilizzo di modello di bilanci più analitico;
– l’adozione di un sistema di controlli affidati ad attori “sopra le parti” e maggiormente incisivi;
– una maggiore elasticità nel sistema di finanziamento, ottenuto anche attraverso un sua divisione da quello del sistema elettorale.
Azioni che, in una “commedia regolare” di “comici sregolati”, se coordinate a sistema avrebbero forse permesso alle nostre istituzioni con più di vent’anni d’anticipo di adeguarsi, avendo esse tutt’altro che esaurito la loro vitalità e robusta elasticità, ai nuovi bisogni oggi come ieri emergenti.
Il pregio maggiore di questo testo è quindi da ricercarsi nella sua capacità di non separare la conoscenza giuridica dalla coscienza civica, in quanto, inserendosi in questo modo in una risalente e autorevole tradizione, attraverso lo studio del partito come strumento di separazione della politica dall’economia e punto di osservazione privilegiato per la comprensione del meccanismo che muove le istituzioni, tenta anch’esso di trovare una risposta alla medesima questione, il come sanare la divisione tra partiti politici e società civile.
Assumendo come dato di fatto la condizione per cui gli istituti giuridici si radicano nella storia come tentativi di risolvere concreti problemi politici, l’esigenza che questi vengano conosciuti, non solo nella loro regolazione legislativa, ma anche in quelle ragioni ideologiche e pratiche che li hanno costituiti oltre che nelle loro effettive criticità e possibili evoluzioni si pone come suo necessario corollario. […]