Dopo anni di incertezze e passi falsi gli ultimi quattro mesi del 2019 hanno rappresentato per il Regno Unito un periodo di svolta in cui il Paese è riuscito ad uscire dallo stallo della Brexit. Sono stati mesi particolarmente intensi in cui si è assistito ad un’insolita prorogation della Camera dei Comuni, alle dimissioni dello Speaker, ad uno storico intervento della Corte suprema, a due Queen’s Speeches, ad un nuovo accordo di recesso, a tre tentativi falliti di scioglimento anticipato, all’adozione di un’irrituale procedura per detto scioglimento ed, infine, a nuove elezioni che hanno sancito la consacrazione elettorale di Boris Johnson. Tanti eventi di grande rilevanza, dunque, condensati nell’arco di un solo quadrimestre che saranno descritti nelle linee generali in questa introduzione e oggetto di ulteriore approfondimento sia nelle singole sezioni del presente lavoro sia nel saggio A volte ritornano … l’European Union (Withdrawal Agreement) Act 2020 ed il nuovo rafforzamento dell’esecutivo britannico, pubblicato nelle pagine di questa rivista.
La ricostruzione deve prendere le mosse dalla ripresa dei lavori parlamentari il 3 settembre, dopo la pausa estiva e dopo la decisione del neo premier Boris Johnson di chiedere alla Regina, il 28 agosto la prorogation della sessione parlamentare a partire dalla seconda settimana di settembre fino al 14 ottobre. L’ipotesi teorica di porre termine alla sessione dei Comuni, che durava dal giugno 2017, era stata oggetto di dibattito politico e dottrinario durante l’estate. Forte polemica avevano suscitato sia la durata della prorogation richiesta da Johnson, molto più lunga del consueto, sia il momento scelto per la sospensione dei lavori parlamentari, vista l’imminente deadline del 31 ottobre. La reazione dei Comuni nei confronti della decisione del Premier, alla guida di un Governo di minoranza, non si era fatta attendere: ancora una volta, la Camera aveva chiesto e ottenuto un emergency debate ex art. 24 dei regolamenti parlamentari, aveva assunto il controllo dell’ordine del giorno delle proprie sedute ed era riuscita a presentare e a far approvare rapidamente, nella prima settimana di settembre, contro il volere dell’Esecutivo, l’European Union (Withdrawal) (No 2) Act 2019. La legge, ribattezzata “Benn Act” dal nome del suo proponente NOME, ha imposto al Primo ministro di richiedere a Bruxelles un’ulteriore estensione di tre mesi della data di uscita dall’Unione nell’ipotesi in cui, entro il 19 ottobre, non fosse stato approvato dal Parlamento l’accordo di recesso. Ancora una volta, dunque, i Comuni avevano ribadito da un canto la loro volontà di escludere l’ipotesi del no deal, caldeggiata invece dal Premier, dall’altro la centralità del proprio ruolo nel processo Brexit, centralità che cercava tutela di fronte all’apparente mancato rispetto delle prassi costituzionali da parte del Primo ministro. […]