La vita politica e istituzionale del Regno Unito nell’ultimo quadrimestre presenta due temi particolarmente rilevanti.
In primo luogo, le elezioni amministrative svoltesi nel mese di maggio sembrano confermare la crescente disaffezione nei confronti sia dei partiti di governo sia dei laburisti. Il successo dell’UKIP è stato letto, infatti, come espressione della crisi di legittimazione dei partiti, crisi accentuata dal mancato accordo sulla riforma del loro finanziamento. In questa situazione conservatori, liberal democratici e laburisti stanno cercando nuovi strumenti per riconquistare la fiducia dell’elettorato. Da un canto, i gruppi al governo continuano ad impegnarsi per introdurre il recall dei deputati condannati e la regolamentazione delle lobbies ed hanno presentato in proposito due disegni di legge. Dall’altro, i laburisti guidati da Ed Miliband stanno tentando un’operazione di rinnovamento interno e hanno proposto una modifica delle procedure di selezione dei candidati, da attuarsi con l’introduzione delle primarie e la riduzione dei vincoli con i sindacati.
In secondo luogo, il quadrimestre risulta caratterizzato dalla sconfitta parlamentare subita dal governo, a fine di agosto, sulla mozione relativa alla guerra in Siria. Come noto, nel Regno Unito la dichiarazione di guerra rientra tra le prerogative regie, ed è quindi uno di quei poteri che spettano al sovrano in base alla tradizione di common law non abrogata dalle leggi. Una prerogativa regia che, comunque, in virtù dell’evoluzione costituzionale inglese è passata nelle mani dell’esecutivo: la convenzione costituzionale da tempo affermatasi prevede, infatti, che il governo eserciti in via esclusiva tale prerogativa senza la collaborazione dell’assemblea. Tale convenzione è stata confermata nel 1999 dal fallimento di un Private Members’ Bill diretto a trasferire dal sovrano al Parlamento la prerogativa regia di dichiarare guerra, fallimento dovuto all’opposizione della stessa Elisabetta, che aveva esercitato così il suo potere di consent sulle leggi relative agli “interests of the Crown”.
Tuttavia, nell’ultimo decennio la stessa convenzione non risulta essere stata sempre osservata. Così, nel 2003 Blair, sollecitato dal leader della Camera dei Comuni Robin Cook e dal ministro degli esteri Jack Straw, chiese ai Comuni di approvare l’intervento militare in Iraq; e la Camera si espresse a favore (il 18 marzo), pur con l’opposizione di 139 deputati laburisti. Anche nel 2011 il Premier David Cameron aveva richiesto il consenso dei Comuni per l’intervento in Libia. In entrambi i casi, nonostante il Parlamento avesse approvato la decisione del governo, la dottrina e il mondo politico si erano chiesti se questa prassi avesse modificato la convenzione esistente. Tale riflessione si inquadra nel più ampio tema della revisione delle royal prerogatives iniziata a partire dai primi anni 2000 ad opera del governo e del parlamento: una revisione ritenuta necessaria per mettere ordine nella materia dato che le prerogative regie sono disciplinate soprattutto da convenzioni costituzionali, le quali consentono un intervento molto ampio e discrezionale dell’esecutivo, senza un adeguato intervento del parlamento.
L’indagine aveva portato alla pubblicazione di alcuni rapporti (tra cui Taming the Prerogative: Strengthening Ministerial Accountability del Public Administration Select Committee dei Comuni e quello del Select Commitee on the Constitution della House of Lords pubblicati entrambi nel 2004), nei quali si auspicava un più efficace controllo dell’assemblea su detti poteri e la formalizzazione di alcune di queste prerogative in legge (in parte realizzatasi attraverso il Constitutional Reform Act 2010). Per quanto attiene, in particolare, il war power, già nel 2004 il Public Administration Select Committee aveva evidenziato la necessità di formalizzare il voto del parlamento e sulla medesima linea si era espresso, nel 2006, l’House of Lords Select Committee on the Constitution nel rapporto Waging War: Parliament’s Role and Responsibility. […]