Uno dei principali eventi che hanno caratterizzato l’ultimo quadrimestre del 2013 nel Regno Unito risulta la pubblicazione, da parte del governo scozzese, del White Paper Scotland’s Future. Your guide to an Independent Scotland, avvenuta il 26 novembre. Il lungo documento, definito dal First Minister Alex Salmond come “the most comprehensive blueprint for an independent country ever published”, contiene un elenco dettagliato degli obiettivi, ma sarebbe meglio dire dei desiderata, che il governo scozzese vorrebbe raggiungere in caso di vittoria del sì al referendum per l’indipendenza, previsto per il prossimo 18 settembre. Dal documento emerge, tra l’altro, che la Scozia vorrebbe mantenere la Corona come capo dello Stato, rimanere membro dell’Unione europea e stabilire un’unione monetaria con il resto del Paese. La data fissata per l’indipendenza dovrebbe essere il 24 marzo 2016, anniversario dell’Union of the Crowns del 1603.
Anche se i sondaggi danno attualmente come remota la possibilità di vittoria degli indipendentisti, l’ipotetica maggioranza dei sì, in ogni caso, non sarebbe risolutiva, dato che servirebbe solo a mettere in moto un articolato processo che dovrebbe passare per la negoziazione con il governo di Londra sui termini dell’indipendenza e con l’Europa per l’ingresso nell’Unione. Peraltro, il risultato di tale processo potrebbe essere oggetto di un ulteriore referendum, nel quale dovrebbero o potrebbero essere coinvolti tutti i cittadini del Regno Unito un percorso che appare particolarmente arduo, soprattutto perché gli snodi centrali della questione scozzese riguardano temi complessi quali l’economia, la scelta della moneta, il welfare e la difesa. Diversi commentatori politici hanno, in proposito, affermato che al momento attuale gli obiettivi fissati dal governo scozzese nel white paper potrebbero essere realizzati in pieno non già attraverso l’indipendenza, bensì attraverso un incremento del processo devolutivo. Tale rilievo si collega ad un altro punto che appare centrale nella questione scozzese. Come noto, il Premier Cameron si è opposto ad un multi-option referendum, un referendum che potesse prevedere, oltre alle due soluzioni estreme dell’indipendenza e del mantenimento dello staus quo, anche una intermedia che concedesse maggiori forme di devoluzione, soprattutto in materia fiscale (“devo plus” o “devo max”). L’alternativa secca presente nel referendum se da un canto rende più probabile la vittoria del no, dall’altro non semplifica l’interpretazione del voto. Nel caso di vittoria del no, infatti, la formulazione del quesito referendario finisce per non chiarire se il voto sia per la conservazione dello status quo o l’incremento della devoluzione.
In attesa che si entri nel vivo della campagna referendaria un altro importante appuntamento aspetta nei prossimi mesi il Regno Unito, quello delle elezioni europee, che potrebbero sancire la vittoria dell’Ukip sui partiti tradizionali e accelerare il referendum sull’Unione. Come è stato osservato da alcuni commentatori politici, il 2014 potrebbe rendere il Regno Unito un paese “ridimensionato, indebolito e isolato”. […]