REGNO UNITO, Giulia Caravale, “It’s England’s turn now”? Prospettive per il futuro assetto territoriale britannico all’indomani del referendum scozzese

The dawn of a new era of constitutionalism: così M. Elliot ha definito l’impatto che le future riforme relative alla devolution scozzese potrebbero avere sull’ordinamento istituzionale del Regno. Senza dubbio è proprio il referendum del 18 settembre con il quale la Scozia ha respinto il progetto di indipendenza il principale evento che ha segnato gli ultimi mesi del 2014. Si è trattato di un avvenimento di grande rilevanza politica e costituzionale che ha stimolato e avviato un complesso ed interessante dibattito, non limitato alle sole questioni dell’autonomia scozzese, ma aperto a temi di più ampio respiro, tra cui la definizione dell’assetto territoriale britannico nel suo complesso, l’introduzione di una constitutional convention e di una Costituzione scritta, la riforma del bicameralismo, la messa in discussione dell’assioma della sovranità parlamentare, la necessità di una maggior formalizzazione dei rapporti tra le istituzioni delle amministrazioni devolute e le omologhe del governo centrale, attualmente fondate soprattutto su convenzioni.

Per rispettare gli impegni assunti nel corso della campagna referendaria nel caso di vittoria del No, il Premier Cameron ha istituito una Commissione presieduta da Lord Smith of Kelvin, con il compito di discutere i nuovi poteri dell’assemblea di Holyrood.

L’Agreement pubblicato dalla Smith Commission il 27 novembre – che costituirà la base di un draft bill di imminente pubblicazione – ha previsto, tra l’altro, il conferimento di ulteriori poteri al parlamento e al governo scozzese, la formalizzazione dei rapporti convenzionali tra l’amministrazione nazionale e quella locale, la trasformazione dell’Assemblea scozzese in organo permanente svincolato dalla volontà di Westminster, il riconoscimento alla Scozia di un maggior rilievo nei rapporti con l’Europa.

In attesa di vedere come tali proposte saranno concretamente attuate, appare evidente che il primo risultato ottenuto dallo Smith Commission Agreement è stato quello di rendere ancora più marcata l’asimmetria devolutiva presente nel Regno Unito, soprattutto a svantaggio dell’Inghilterra. Come noto la “questione inglese” è discussa da anni, ma non è di facile soluzione. Al riguardo il Premier Cameron, subito dopo il referendum, ha voluto inserire la concessione di maggior devolution alla Scozia in un contesto di riforme territoriali più ampio che prevede, innanzi tutto, la soluzione dell’english question, in particolare attraverso la modifica delle procedure parlamentari dei Comuni in modo da consentire ai deputati “inglesi” alcuni canali esclusivi per esprimersi sugli English bill. A tal fine ha istituito il Cabinet Committee for devolved power, presieduto da William Hague e lo stesso Hague ha illustrato in parlamento, il 16 dicembre, le 4 proposte governative in materia (3 del partito conservatore e 1 del partito liberal democratico).

La modifica delle procedure parlamentari non appare l’unica soluzione possibile della questione inglese. In questi mesi, ad esempio, i Council leaders dell’East Midlands hanno chiesto la devoluzione di maggiori competenze, la City Growth Commission ha proposto la concessione di poteri economici per le 15 principali città del Regno, mentre il Cancelliere dello Scacchiere e i leaders dei 10 district councils della Greater Manchester si sono accordati per dotare quest’ultima, a partire dal 2017, di un sindaco direttamente eletto, su modello di Londra.

La richiesta di maggior devolution è pervenuta anche dal Galles, e nel mese di dicembre è stato approvato il Wales Act 2014, che prevede il conferimento di ulteriori competenze, anche in materia fiscale. Inoltre, dopo un lungo periodo di stallo, lo Stormont House Agreement raggiunto il 23 dicembre ha aperto uno spiraglio di luce per la stabilità delle istituzioni nord irlandesi. […]

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