Il 29 marzo 2019 il Regno Unito doveva uscire dall’Unione europea: la data era stata stabilita seguendo il disposto dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, il quale stabilisce l’obbligo del Paese che desidera recedere dall’Unione di notificare tale richiesta al Consiglio Europeo. Dalla data della notifica prendono avvio i due anni di tempo in cui svolgere i negoziati per l’accordo di recesso; allo scadere del periodo, anche senza il raggiungimento di un accordo, la membership dello Stato termina, a meno che non sia concessa una proroga.
Nel quadrimestre in cui dunque si sarebbe dovuto assistere all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea si è assistito, invece, allo scontro – a tratti feroce – tra Governo e Parlamento, ad una sovraesposizione dello Speaker Bercow, alla mozione di sfiducia – respinta – nei confronti della May, alla triplice bocciatura dell’accordo di recesso dalla House of Commons, alla inconsueta duplice assunzione da parte dei Comuni del controllo dell’ordine del giorno dei lavori dell’Assemblea, ad un doppio rinvio della data di uscita dall’Unione. Un quadrimestre intenso e turbolento che si è concluso con l’avvio della campagna elettorale per le elezioni europee a cui dovrà partecipare anche il Regno Unito essendo ancora, per adesso, uno Stato membro. Per la cronaca e il commento degli eventi di questi mesi rinvio sia a quanto descritto nella sezione “Parlamento” del presente lavoro sia al mio contributo: Theresa May vs. Thomas Erskine May. Un bug nel modello Westminster?, pubblicato nel presente numero della Rivista. In questa sede vorrei invece evidenziare come nel 2019 ricorrano dieci anni dallo scandalo dei rimborsi-spese dei deputati della Camera dei Comuni che, nella primavera del 2009, “shook the British political system to its foundations”. Lo scandalo era sorto a seguito di un’inchiesta condotta dal Daily Telegraph ed aveva coinvolto in modo trasversale tutti i partiti, colpendo fortemente l’opinione pubblica la quale aveva giudicato moralmente inaccettabile il comportamento della classe politica non solo per il contenuto (a volte imbarazzante) dell’elenco dei rimborsi, ma – in un periodo di difficile crisi economica – per l’evidente abuso da parte dei deputati britannici dei loro privilegi. […]