Chi per avventura intraprenda lo studio della decretazione governativa di urgenza e della sua genealogia nell’ordinamento giuridico dell’Italia prefascista non può non riscontare, in prima battuta, una perdurante ambivalenza di tale fenomeno in oltre settant’anni di storia patria. Per un verso, infatti, esso si caratterizza per una formale assenza nel testo costituzionale del tempo, lo Statuto albertino del 1848, il quale non fa alcuna menzione di quelli che poi, per esprimere “la forma di un atto del Potere Esecutivo, e il contenuto e l’efficacia di un precetto legislativo”, sarebbero stati qualificati, invero formalmente solo a partire dal 3.1.1915, come decreti-legge. Anzi, nello Statuto si dispone testualmente, ad un tempo, che “il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato e la Camera dei Deputati (art. 3); e che “il Re… fa i decreti e regolamenti necessarii per l’esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza, o dispensarne” (art 6). Per altro verso, a tale silenzio costituzionale fa a contraltare una sorprendente contestualità4 di tale tipologia di atti normativi – per il vero, presenti più per accondiscendenza del Parlamento che per “totale usurpazione” dello stesso Governo – sin dal 1848, come ha segnalato la dottrina più avvertita, mentre sarebbe stato di qualche anno successivo l’esplicito riferimento alla sottoposizione di un decreto-legge al Parlamento e, più tardi ancora, la sua presentazione alle Camere “per essere convertito in legge”.
Tale duplice carattere proprio della decretazione governativa di urgenza – percepita dalla dottrina dell’epoca come una questione “giuridicamente importante, costituzionalmente vitale, politicamente spinosa” e da quella a noi contemporanea (almeno) come un “paradosso” – ha provocato un vivacissimo dibattito politico, dottrinario e giurisprudenziale nel corso di tutta l’esperienza costituzionale prefascista italiana, con alcuni “alti momenti” che meritano di essere riesaminati e contestualizzati, ma anche con talune ricostruzioni tacciate di un “valore assai modesto e, spesso… [di un]a consistenza molto effimera”, se non di una vera e propria “fantasiosità”.