Nella Costituzione repubblicana l’art. 49 non è una pleonastica ripetizione dell’art. 18. Secondo la volontà dei costituenti, infatti, l’art. 49 «non tutela un semplice diritto di associazione in partiti politici, ma afferma il diritto dei cittadini di concorrere, mediante una pluralità di partiti, alla determinazione della politica nazionale»1.
La Costituzione democratica ha sancito, per la prima volta nell’Europa del secondo dopoguerra, la rilevanza costituzionale dei partiti politici, anche se, com’è noto, prevalse nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente la tesi di non disciplinare nel testo costituzionale l’attribuzione ai partiti politici di compiti di carattere costituzionale.
Anche Mortati cambiò ben presto il suo orientamento favorevole alla regolazione dei partiti espresso in Assemblea costituente2 e confermato in uno scritto del 1949, Concetto e funzione dei partiti politici, apparso in Quaderni di Ricerca.
A partire dagli anni ’50, egli prese atto che i profondi mutamenti nel contesto internazionale e i radicali contrasti tra i principali partiti politici rendevano non più auspicabile e perfino dannosa una disciplina dei partiti. Lo stesso Mortati avrebbe ribadito – in un suo articolo del 19504 e, in modo più esplicito, in un noto saggio del 19575 – che il significato dell’espressione «metodo democratico», «voluto mettere in rilievo dal costituente, è quello che si riferisce all’assicurazione delle condizioni cui rimane legata l’alternativa al potere delle forze politiche». […]
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SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Gli orientamenti della Corte costituzionale sino alla recente decisione del 10 gennaio 2018. – 3. I primi passi verso una cornice normativa minima. – 4. Quali ostacoli alla regolazione dei partiti politici?