Innanzi tutto, vorrei ringraziare il Prof. Fulco Lanchester per il cortese invito a partecipare a questo incontro. La dura legge dell’alfabeto mi costringe a parlare dopo tanti approfonditi interventi ma mi consente di non affrontare molti dei temi trattati magistralmente fin qui da coloro che si sono succeduti al microfono.
Mi limiterò, pertanto, a tre ordini di considerazioni.
Il primo, di carattere generale, riguarda le regole in tema di legge elettorale ricavabili dalla Costituzione e dalla sua interpretazione, che riassumo sinteticamente:
– la legge elettorale deve essere approvata in assemblea (art. 72, comma 4), ciò per qualcuno implica che sia sottratta non solo all’approvazione in commissione in sede deliberante, ma anche a quella effettuata mediante decreto legge. Nella prassi, possiamo riscontrare numerosi decreti legge in materia elettorale, tuttavia, a quanto consta, non incidenti sulle regole che presiedono la trasformazione dei voti in seggi;
– il referendum sulle leggi elettorali è consentito solo a condizione di non esporre gli organi elettivi previsti in Costituzione, neppure temporaneamente, all’eventualità, anche solo teorica, di paralisi di funzionamento;
– la verifica della regolarità dell’attuazione della legge elettorale politica è rimessa ad organi delle Camere. Organi non giurisdizionali, la cui idoneità ad essere considerati giudici a quo sotto il profilo oggettivo è fortemente contestata. Di qui, la difficoltà a pervenire ad un giudizio di costituzionalità sulla legge elettorale (peraltro ribadita dall’inammissibilità di conflitti sollevati da partiti e dal rifiuto della Corte di sollevare incidentalmente il giudizio nel corso dell’accertamento dell’ammissibilità). D’altro canto, se le Giunte per le elezioni giungessero al convincimento dell’incostituzionalità della legge, perché dovrebbero sollevare una questione di legittimità costituzionale invece di promuovere una riforma legislativa?
Insomma, senza arrivare a sostenere che tutto quanto riguarda la legge elettorale sia esclusiva “prerogativa delle Camere”, intesa in senso lato (e cioè considerando le prerogative, come “serie assai eterogenee di immunità, esenzioni, garanzie, privilegi, riconosciuti a corpi istituzionali o a persone che ricoprono uffici o godano di status particolari, o anche per definire poteri ed atti propri, esclusivi ed insindacabili di determinati soggetti costituzionali. Per estensione, l’espressione è passata anche, nel linguaggio corrente per indicare qualità, doti caratteristiche, peculiarità – in genere apprezzabili o vantaggiose di qualcuno o di qualcosa”), non può disconoscersi la sussistenza di un tendenziale sfavore costituzionale riguardo ad interventi diversi dalla legge parlamentare per regolare le consultazioni elettorali, in funzione di tutela dell’indipendenza delle Camere in materia.
Sfavore superabile solo in condizioni estreme, che hanno giustificato, ad esempio, la più permissiva giurisprudenza della Corte costituzionale riguardo ai referendum manipolativi in materia elettorale. Condizioni che paiono realizzarsi oggi, verificandosi l’impossibilità di pervenire ad una modifica legislativa in via parlamentare, come la storia degli ultimi anni dimostra, nonostante le reiterate richieste in tal senso del Capo dello Stato e malgrado le dichiarazioni bipartisan (anzi multipartisan, dopo le consultazioni di fine febbraio) di necessità di superamento dell’attuale disciplina. Ed appare sintomatico di tale impossibilità anche il rifiuto di procedere immediatamente ad una revisione con un provvedimento legislativo “tampone” opposto dal PDL ed accettato senza troppe resistenze dal Presidente del Consiglio, procrastinando ad un momento successivo all’approvazione di una revisione della forma di governo l’adozione di nuove regole elettorali. […]
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Di seguito si riporta il sommario del saggio: 1. Le regole in tema di legge elettorale 2. L’ammissibilità della questione 3. Il merito della questione di legittimità costituzionale