Essendo l’unico politologo presente a questo tavolo – situazione che, peraltro, di questi tempi non è un fatto inusuale, basti vedere la composizione del comitato per le riforme istituzionali, composizione che non comprende ad esempio politologi come Giovanni Sartori e come Gianfranco Pasquino, quest’ultimo tra l’altro presidente della SISP, e che lascia molto a desiderare, in quanto nonostante comprenda personaggi autorevoli, vede al suo interno anche personaggi di secondo e terzo piano – tratterò l’argomento attraverso il profilo della scienza politica.
Da scienziato della politica non voglio soffermarmi sulle questioni di ammissibilità del ricorso, le quali, nonostante ne comprenda l’importanza, non possono essere da me affrontate, non essendo in possesso di una strumentazione tecnica adeguata. Ma al di là della tecnica, comprendo molto bene il dilemma posto dal Presidente Capotosti circa l’ammissibilità della questione sollevata dall’ordinanza.
Siamo di fronte, in effetti, a un vero e proprio dilemma. Se la Corte Costituzionale, da un lato, accogliesse le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di Cassazione, le conseguenze potrebbero essere notevoli: si delegittimerebbero, infatti, sia il presente Parlamento sia tutti gli atti da questo compiuti, compresa l’elezione del Presidente della Repubblica. Esiste quindi un principio di responsabilità cui la Corte non può non avere presente. D’altro lato, se la Corte non ammettesse la questione, rimarrebbe una zona buia, in grado di trasformarsi in una zona franca per il legislatore in materia di legge elettorale.
Per la soluzione di questo dilemma vorrei richiamarmi al principio fissato dal filosofo del diritto Immanuel Kant, per il quale la legge positiva non può mai essere contraria alla legge di ragione. E non a caso, a proposito di legge di ragione, c’è sempre un termine che ricorre spesso nella giurisprudenza della Corte: il principio di ragionevolezza. Ma se si vuole affrontare la questione attraverso la lente della ragionevolezza, occorrerà darne un’interpretazione accettabile, per evitare la soggettività/arbitrarietà dell’interpretazione del principio di ragionevolezza. Sarà, dunque, necessario darne un’interpretazione per così dire tecnica (oggettiva) per evitare l’arbitrarietà delle interpretazioni e concordando invece su un’interpretazione condivisa. E la definizione tecnica di ragionevolezza che propongo in questo caso è la coerenza tra finalità/obiettivi e le soluzioni tecniche adottate nella legge elettorale attuale. La finalità principale che il legislatore si è proposto di raggiungere nella legge cosiddetta Porcellum è indubbiamente quella di ottenere la governabilità e a tal fine ha previsto un premio di maggioranza. Fin qui e su quest’affermazione credo ci possa essere un accordo universale sulla sua incontrovertibilità. Ma da qui in poi sostengo che c’è una palese contraddizione e incoerenza tra finalità e mezzi adottati, tanto da dar luogo a una palese irrazionalità della legge. Il premio per com’è congegnato è palesemente irrazionale e assolutamente inadeguato a realizzare la finalità che il legislatore si proponeva (di questo più avanti). Ma questa non è l’unica delle contraddizioni e delle irrazionalità. La legge è stracolma di queste contraddizioni e irrazionalità. Naturalmente non spetta a me affermare se questa sua condizione d’irrazionalità sia in grado di tramutarsi in una sua incostituzionalità con tutte le conseguenze prospettate nel dilemma del presidente Capotosti. Certamente se questo dilemma fosse stato posto a Kant, questi non avrebbe avuto dubbi: Fiat iustitia, pereat mundus. Cioè la legge di ragione deve prevalere sulla legge positiva, quali che siano le conseguenze. Nell’immediato le conseguenze dell’ammissione dell’incostituzionalità possono sembrare enormi, ma nel lungo periodo le conseguenze di lasciare una legge irrazionale possono essere ancora peggiori. Personalmente sono perché trionfi la legge di ragione. Quindi Fiat ratio, pereat Porcellum. […]