Temo di essere un po’ troppo dottrinario, tuttavia debbo dire che il libro è veramente bello, è veramente vivo, è veramente rigoroso sotto ogni aspetto. Le reali tematiche come emerso da questi primi interventi sono tre: le minoranze linguistiche – etnico-linguistiche -, le minoranze politiche e i sistemi elettorali. Sono tre temi che non sono esattamente sovrapposti l’uno all’altro ma hanno una relazione varia e complessa. Però nel libro è anche ben evidenziato come a volte le minoranze linguistiche diventano partiti, a volte invece si spalmano in diversi partiti, a volte hanno rappresentanti etnicamente o linguisticamente qualificati in partiti diversi e via discorrendo.
Adesso io vorrei esaminare questi tre elementi.
Si è anche detto: “Ma davvero ci vuole una normativa ad hoc a tutela delle minoranze etniche (linguistiche, come dice la nostra Costituzione) oppure basta la benigna uguaglianza nell’ambito di ampie libertà “comuni?”. Si è molto discusso anche in America di questo, e alla fine si è arrivati a dire che ci può essere una normativa ad hoc, una normativa di sostegno ed il discorso ripercorre anche le vie delle affirmative actions, delle reverse discriminations e via discorrendo.
Però, occorre fare una distinzione: per quel che riguarda le affirmative actions, in linea di massima si è arrivati alla conclusione che esse sono possibili purché temporanee: questa è la conclusione a cui giunge Brennan, argomentata in base alla considerazione che in definitiva non si può dividere la società in via stabile in diverse classi, in diversi ceti. Tuttavia, purché “nascano a morire”, per scomparire – un po’ come gli aiuti di Stato che debbono nascere per poi morire ad un certo punto – le “azioni positive” sono possibili. Per le minoranze linguistiche il discorso è un po’ diverso, perché le minoranze linguistiche sono qualcosa di permanente, o quanto meno dimensionate sui tempi della storia, non suscettibili di una misurazione chiara a differenza dei tempi della politica, dell’economia.
È quindi evidente che con le minoranze linguistiche ci sono azioni positive di uno spessore e di una resistenza maggiore: si giustifica, alla stregua dell’eguaglianza, questa protezione intensa più stabile?
Osserva Will Kymlicka che la società è intrinsecamente faziosa, non c’è società che non abbia una sua faziosità strutturale su certi temi di fondo che attengono alla identità culturale. Ecco allora che occorre un sostegno alle minoranze, è vero, che in qualche modo sono fuori di questo circolo condiviso nella società.
Ci sono poi altre considerazioni: il pluralismo culturale è, per un verso, una ricchezza per tutti; per altro verso può essere, però, anche un pericolo per chi è incluso nell’ambito di una subcultura refrattaria ai valori della società generale. Rinchiudere il singolo in una società particolare che lo priva dei vantaggi della società generale o comunicare questi vantaggi a persone ormai prive di dimensioni culturali proprie e profonde, ormai sradicate dal proprio humus ed “omologate al proprio sistema”? Questo è il dilemma. Un acuto autore americano ha rievocato in proposito l’immagine di Scilla e Cariddi. […]