Il processo di integrazione europea è costituzionalmente condizionato da limiti inerenti alle costituzioni nazionali e ogni superamento di essi implica una «rivoluzione giuridica»; la presenza di tali limiti è allo stesso tempo all’origine dello sviluppo del processo di integrazione europea. Sono queste, in estrema sintesi, le tesi di fondo che Jean-Philippe Derosier sviluppa nel suo studio comparato su Les limites constitutionnelles à l’intégration européenne. étude comparée: Allemagne, France, Italie, a partire da un approccio normativista aderente all’impostazione teorica della “Scuola di Vienna”.
Al di là dei contenuti dell’analisi, il testo ha infatti anzitutto il merito di riaffermare la validità di un approccio metodologico fondato su una concezione gerarchica e pura del diritto che appare oggi minoritaria tra coloro che si avventurano nel tentativo di concettualizzare il fenomeno integrativo europeo e i rapporti tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali. Come afferma l’A., uno degli obbiettivi del lavoro è «dimostrare che un’analisi strettamente giuridica permette di rendere pienamente conto dell’integrazione europea e dei rapporti inter-ordinamentali tra Stati membri e Unione europea» (p. 486) e che «la metodologia normativista e in particolare la costruzione gerarchica del diritto teorizzata dalla Scuola di Vienna non sono “superate” e offrono una griglia di analisi sufficientemente elaborata» al fine di un esame della costruzione europea (p. 516).
Il volume si compone di due parti dedicate rispettivamente all’esistenza di limiti positivi all’integrazione europea e al loro impatto sul relativo processo. Le due parti sono precedute da una lunga introduzione generale in cui si esplicitano le premesse metodologiche e si presentano i concetti principali. Volendo sintetizzare l’analisi – lunga e dettagliata – è possibile individuare tre passaggi principali.
Il primo consiste nella ricostruzione del concetto di limite costituzionale assoluto (vale a dire intangibile e inviolabile) alla revisione costituzionale attraverso l’esame delle costituzioni francese, italiana e tedesca, in particolare degli articoli rispettivamente 89(5), 139 e 79(3) (pp. 62- 108) e una riflessione sul concetto di costituzione – considerata dall’A. come la norma positiva costitutiva del fondamento della validità dell’ordinamento e dunque come norma regolatrice della produzione di tutte le altre norme dell’ordinamento, incluse quelle riguardanti la propria revisione (p. 20): ciò lo porta a escludere ogni ipotesi di “sovracostituzionalità”.
L’A. rileva il carattere eterogeneo della categoria “limite costituzionale” – è questo uno dei nuclei centrali dello studio concentrato nel titolo II della parte I (pp. 165-268) – operando una distinzione tra «principi costituzionali strutturalmente assoluti» e «principi costituzionali formalmente assoluti».
I primi riguardano elementi appunto strutturali della costituzione, ravvisabili perciò in ogni costituzione: la sovranità intesa giuridicamente “come competenza sulla competenza”, che ne fa la norma «suprema ed eternamente valida», e la centralizzazione (relativa) dell’ordinamento giuridico statale (vale a dire sovrano) che implica l’esistenza di una «soglia minima» di competenze. Riguardo a questo punto, l’analisi solleva alcuni dubbi perdendo in determinatezza. È lo stesso A. a rilevarlo richiamando il paradosso del sorite, o del mucchio (pp. 208-214), al fine di evidenziare l’impossibilità di determinare in cosa consista concretamente tale “soglia minima di competenze”.
Se non è possibile determinare la soglia in maniera preventiva e oggettiva – ogni definizione è infatti intrinsecamente possibile solo ex post e in base a considerazioni di natura soggettiva –, ciò significa che non è possibile determinarla giuridicamente: essa è insomma relativa e dipende da rapporti di forza in fieri. La determinazione della soglia finirebbe in breve per ricadere nel politico e l’unica conclusione dell’A. non può che esprimere una certa vaghezza: «il trasferimento reiterato di competenze può così costituire un limite costituzionale all’integrazione europea». L’analisi puramente giuridica rivendicata dall’autore mostra così una difficoltà che appare insormontabile.
La seconda categoria include limiti inscritti in maniera formale e dunque esplicita nelle singole costituzioni nazionali: essi sono ravvisabili in talune costituzioni, non in altre, e solo essi sono riflessi in maniera evidente nell’ordinamento europeo (pp. 269-294). […]