Si racconta che principe di Talleyrand ammonisse come, in politica, un errore fosse peggio di un delitto. Le ragioni di questa affermazione nascevano dalla convinzione, per la quale, del delitto, si potevano calcolare in anticipo le conseguenze; dell’errore, no. Ma se si sbaglia in buona fede, convinti di raggiungere uno scopo non ignobile, esiste un modo per provare che, almeno in questo, Talleyrand avesse torto: confessarlo e adoperarsi per limitarne gli effetti.
Il personale errore è stato nell’iniziale approccio a questo volume; mentre, il tentativo di ammenda è rappresentato dalla presente recensione. Per quanto riguarda l’errore, questo origina dalla necessaria attività di registrazione delle più recenti pubblicazioni edite in vista dell’imminente appuntamento referendario per la conferma della modifica alla seconda parte della Costituzione, approvata dalla maggioranza assoluta del Parlamento lo scorso 12 aprile. Da ciò, il motivo per il quale, la volontà di intraprendere la lettura de La questione costituzionale in Italia avesse come unico fine il suo inserimento all’interno di uno dei due opposti schieramenti di vademecum, pro o contro la riforma, attualmente in circolazione. Ma non appena messo in pratica l’intento, ci si è convinti dello sbaglio.
L’opera, a prescindere dallo “scaffale” sul quale la si intende collocare, risulta, non solo preziosa, ma, soprattutto nell’attuale contesa, indispensabile per tutte le posizioni in essa coinvolte. Le ragioni sono facilmente comprensibili: se, da un lato, è già stato osservato da autorevoli studiosi come Giorgio Rebuffa che, da quando è possibile parlare di una reale democrazia dei moderni, la trama dei tempi sia stata soggetta a continue rotture, essendo presente in ogni processo d’emersione di nuove fasi politiche un medesimo intento a dimenticare, presentandosi come eccezionale ed unica (e conseguenze di ciò sarebbero riscontrabili nelle sempre maggiori difficoltà contro le quali andrebbero scontrandosi quanti volessero compiere una tessitura della memoria in grado di portare ad una comprensione ed ad una riaffermazione delle ragioni dello stare insieme di una grande comunità); dall’altro, appare evidente una recente ed altrettanto pericolosa tendenza che, ad ogni costo, ed al di là di ogni ragionevole evidenza, riterrebbe possibile rinvenire per ogni posizione coinvolta nei summenzionati processi, un precedente, una tradizione, o una radice. Tali affermazioni, potrebbero essere validamente poste in ogni contesto nazionale; appaiono oggi come ragioni dirimenti alla questione di lungo periodo, per la quale, la vita pubblica italiana sia spesso difficile da decifrare.
Viceversa, quelle offerte da Pombeni sono coordinate certe; ricavate da una puntuale rassegna d’indagini sugli sviluppi dottrinari, sia di singoli istituti giuridici, che di risalenti chiavi interpretative. Ed è per questo che, a prescindere dal loro essere, o meno, legate al presente, queste, soprattutto per le valutazioni dei cultori del diritto costituzionale, risultano oggi essere assolutamente indispensabili.
Se qualsiasi attività di riforma, al netto delle valutazioni sulla sua maggiore o minore auspicabilità, deve necessariamente essere considerata, sempre e comunque, come una “fatica di Sisifo” (solo all’interno di uno Stato totalitario è difatti possibile credere che la traduzione del suo regime politico, attraverso l’attuazione dei suoi principi generali in specifici istituti positivi, possa essere realizzata, in un dato momento, in maniera completa e definitiva), da ciò consegue che, l’utilizzo dei profili contenutistici dei “momenti costituenti” succedutesi nella storia italiana possa anch’essa contribuire ad una conoscenza organica dei correttivi necessari ad una migliore strutturazione dello Stato (p. 361). […]