La scena politica spagnola di questi mesi è stata scandita dal ritmo incalzante degli eventi legati alla vicenda indipendentista catalana, che si è posta al centro di un duro confronto politico-istituzionale nei rapporti centro-periferia. Il 9 novembre (9-N), nella data preannunciata circa un anno fa da Artur Mas per celebrare il referendum sull’indipendenza, due milioni di catalani hanno risposto agli interrogativi sul futuro politico della Catalogna originariamente formulati (¿Quiere que Cataluña se convierta en un Estado? e, in caso affermativo, ¿Quiere que sea independiente?), anche se nell’ambito di una consultazione popolare priva di qualsiasi caratterizzazione giuridica e di alcun valore formale. La votazione popolare catalana del 9-N non è stata, infatti, una consultazione referendaria, o una consultazione non avente natura referendaria, ma un “processo partecipativo”, o una “consultazione illegale” -a seconda dei punti di vista- che può essere interpretata come una delle innumerevoli tappe del lungo e accidentato percorso soberanista portato avanti dal Governo catalano e dalle altre forze indipendentiste. Il 9 novembre i catalani hanno esercitato il proprio derecho a decidir, esprimendosi con una maggioranza dell’80,91% a favore all’indipendenza, sia pur nell’ambito di una consultazione priva dei requisiti formali e delle garanzie giuridiche collegate a istituti come il referendum, ma resa sostanzialmente possibile grazie all’opera dei volontari impegnati nella organizzazione e nello svolgimento delle operazioni di scrutinio.
Alla scelta di questa consultazione popolare “alternativa” si è giunti, come extrema ratio, dopo che il Tribunale costituzionale ha ammesso i ricorsi presentati dal Governo contro la legge catalana n. 10/2014, sulle consultazioni popolari non referendarie e altre forme di partecipazione popolare, e sul decreto n. 129/2014, di convocazione della relativa consultazione, che ha determinato la sospensione automatica dell’applicazione di tale normativa, ai sensi dell’art. 161, c. 2 Cost. In realtà il Governo catalano ha deciso di celebrare questa consultazione “alternativa”, nonostante il Tribunale Costituzionale avesse adottato, sempre ai sensi dell’art. 161, c. 2 Cost., un secondo pronunciamento sospensivo contro tutte le attività preparatorie e organizzative collegate a tale processo partecipativo, ammettendo ad esame un ulteriore ricorso promosso dal Governo statale contro tali atti.
Con queste premesse giuridiche, e in un contesto di alta tensione politico-istituzionale, non stupisce, quindi, che la consultazione del 9 N, pur non avendo avuto alcuna rilevanza giuridica e formale, sia stata oggetto di ampie critiche e contestazioni e abbia gettato le basi per l’avanzamento del processo indipendentista. Dopo la sua celebrazione, il 26 novembre, il Presidente Mas ha presentato il suo nuovo piano, c.d. hoja de ruta, per portare a termine il processo soberanista e arrivare alla agognata indipendenza della Catalogna da Madrid. Tale piano si fonda in primis sulla celebrazione di elezioni anticipate nella regione in chiave “plebiscitaria” sull’indipendenza, al fine ultimo di creare uno Stato indipendente nell’arco di 18 mesi. Il principale nodo da risolvere in questi mesi è stata, dunque, la individuazione della data e delle modalità di svolgimento di tali elezioni plebiscitarie. Si è aperta, così, una complessa negoziazione tra Covergencia i Unió (CiU) e Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), schierate su posizioni contrapposte, per pervenire ad una intesa su tali questioni con il consenso delle principali organizzazioni indipendentiste. Il 15 gennaio i leader di CiU ed Erc, sono pervenuti finalmente ad un accordo sotto il nuovo slogan coniato da Artur Mas “hasta la victoria, hasta ganar”. Le elezioni anticipate, secondo quanto convenuto, si celebreranno il 27 settembre prossimo, e i nazionalisti e i repubblicani parteciperanno in liste separate ma condivideranno nei rispettivi programmi elettorali lo stesso piano d’azione per conseguire l’indipendenza. […]