Il 25 dicembre 2016 potrebbe convertirsi in una “Navidad electoral” per gli spagnoli, poiché rischiano di essere richiamati alle urne per la terza volta consecutiva nell’arco di un anno. Dopo le elezioni del 20 dicembre 2015 e quelle del 26 giugno 2016, che non hanno portato per ora alla formazione di un nuovo Governo, si apre quindi lo scenario, sempre più verosimile, di nuove elezioni per superare la situazione di stallo politico-istituzionale in cui versa da 8 mesi il Paese. Questa ipotesi diventerà una certezza se nell’arco di due mesi dalla fallita investitura di Mariano Rajoy, – e, quindi, entro il 31 ottobre – i principali partiti rappresentati al Congresso dei deputati non riusciranno a pervenire ad un accordo su un candidato presidenziale che possa costituire un governo e ottenere la fiducia nei tempi e nei modi previsti dall’art. 99 Cost. Le alleanze post-elettorali astrattamente possibili ai fini della formazione di un governo sono varie, ma sono politicamente molto complesse da realizzare. La via più facilmente percorribile, e maggiormente fedele al risultato elettorale, vale a dire quella di un governo monocolore minoritario del Pp, o di coalizione guidato da tale partito, è, infatti, per adesso fallita.
Le elezioni del 26 giugno hanno consegnato la vittoria al Partito popolare di Mariano Rajoy, che ha rafforzato la sua posizione in seno al Congresso dei deputati, eleggendo 14 deputati in più rispetto alle passate elezioni, sia pur mantenendosi lontano dalla maggioranza assoluta. Un risultato inaspettato, quello del Pp, soprattutto se si tiene conto della sua vittoria in alcune Comunità autonome come l’Andalusia, storico feudo socialista; e un risultato che ha risentito, presumibilmente, della fallita investitura di Pedro Sánchez nella scorsa legislatura, e, altresì, dell’esito del referendum britannico sulla Brexit del 23 giugno, che ha spinto l’elettorato spagnolo a orientarsi verso opzioni più moderate e filoeuropeiste.
Dopo lunghe e complesse trattative post-elettorali, Rajoy non è riuscito a pervenire ad un accordo con il Psoe per la formazione di un governo di grande coalizione e nemmeno ad assicurarsi la astensione di tale partito per la formazione di un governo a guida popolare. A pochi giorni dall’attesa sessione di investitura, è riuscito, invece, a concludere accordi con Ciudadanos e Coalición Canaria, che gli sono valsi l’appoggio parlamentare di tali partiti in cambio dell’approvazione di due vasti pacchetti di riforme, incentrati – rispettivamente – su misure di stampo economico-sociale ed autonomico. La conclusione di tali accordi ha permesso al candidato premier di ottenere una maggioranza di 170 voti favorevole alla sua investitura, di per sé non esigua, ma insufficiente a ottenere la investitura in prima e in seconda votazione dinanzi a una persistente maggioranza contraria di 180 voti. Il 30 agosto, dopo aver esposto il suo programma politico e sollecitato la fiducia al Congresso, Rajoy, infatti, non ha conquistato la maggioranza assoluta di 176 voti necessaria per ricevere l’investitura in prima votazione, così come il 2 agosto – a distanza di 48 ore – non è riuscito a conseguire la maggioranza semplice richiesta per superare la seconda votazione. La distanza politica e i veti dei partiti non hanno permesso al candidato premier di ottenere nemmeno le 11 astensioni che gli avrebbero garantito la investitura in seconda votazione. Così Rajoy è divenuto il secondo candidato premier della storia costituzionale postfranchista, dopo Pedro Sánchez, a non aver superato la votazione di investitura in seno al Congresso dei deputati. […]